A un anno dall'annuncio del Papa, tutto tace sul fronte Medjugorje
Roma. “Siamo lì lì per prendere delle decisioni. Poi si diranno. Per il momento si danno soltanto alcuni orientamenti ai vescovi, ma sulle linee che si prenderanno”. Era il 6 giugno di un anno fa e il Papa, rispondendo a una domanda a bordo dell’aereo che lo riportava a Roma dal viaggio a Sarajevo, spiegava che la decisione della Santa Sede sulla veridicità delle apparizioni mariane di Medjugorje sarebbe arrivata di lì a poco. Francesco citava anche una riunione della congregazione per la Dottrina della fede (una “feria quarta”) che si sarebbe tenuta a fine maggio del 2015 e che le conclusioni della commissione presieduta dal cardinale Cammillo Ruini – i cui lavori sono terminati due anni fa – erano sul tavolo del prefetto Gerhard Ludwig Müller. Successivamente, padre Federico Lombardi chiariva che la riunione non c’era ancora stata e che il tutto sarebbe stato rinviato a dopo l’estate.
Qualche osservatore sosteneva che il verdetto sarebbe arrivato in concomitanza con il Sinodo sulla famiglia, altri – la maggioranza – propendevano per il tardo autunno. Ma di stagioni ne sono passate quattro e di Medjugorje non s’è più saputo nulla, né è noto se la feria quarta abbia poi discusso in materia. Quel che si sa è quanto il Pontefice disse solo tre giorni dopo la visita nella capitale bosniaca, nell’omelia pronunciata a Santa Marta il 9 giugno: “Ma dove sono i veggenti che ci dicono oggi la lettera che la Madonna manderà alle quattro del pomeriggio? Per esempio, no? E vivono di questo. Ma questa non è identità cristiana. l’ultima parola di Dio si chiama Gesù e niente di più”. Francesco non è pregiudizialmente ostile al fenomeno che interessa la località dell’Erzegovina. Da arcivescovo di Buenos Aires aveva invitato il veggente Ivan Dragicevic a tenere un ciclo di conferenze, e lui stesso per un periodo ebbe come confessore il francescano Berislav Ostojic, operativo a Citluk, non distante da Medjugorje. Ciò che lascia perplesso il Papa è semmai la “calendarizzazione” delle apparizioni dislocate ai quattro angoli del pianeta. Nel novembre del 2013, pochi mesi dopo l’elezione, disse che “la curiosità ci spinge a voler sentire che il Signore è qua oppure è là; o ci fa dire: ‘Ma io conosco un veggente, una veggente, che riceve lettere dalla Madonna, messaggi dalla Madonna’. Ma la Madonna è Madre, non è un capoufficio della Posta, per inviare messaggi tutti i giorni. Queste novità allontanano dal Vangelo”. Il fatto è che le posizioni sul dossier sono le più disparate, anche tra quanti dovranno prendere in mano la posizione fatta propria dalla commissione presieduta da Ruini (che avrebbe giudicato positivamente le prime apparizioni, risalenti all’estate del 1981). Da una parte c’è il prefetto Müller, assai perplesso sulla veridicità delle apparizioni – fu lui a inviare una lettera all’episcopato degli Stati Uniti in cui si intimavano i vescovi locali a non partecipare a “riunioni, conferenze o pubbliche celebrazioni” in cui si desse per certa la credibilità dei fenomeni di Medjugorje – dall’altra il cardinale Christoph Schönborn, che ha concesso ai veggenti di poter parlare nella cattedrale di Santo Stefano, a Vienna.
E proprio Schönborn è portatore della linea che alla fine potrebbe risultare preponderante: pur senza riconoscere le apparizioni – anche perché sono ancora in corso – la chiesa potrebbe valutare positivamente i frutti cresciuti sulla collina dell’Erzegovina, e cioè l’acclarato numero di conversioni. L’opzione che sembra riscuotere meno seguito – soprattutto per le dirompenti conseguenze prevedibili – è quella di richiamare la dichiarazione di Zara del 1991, con la quale i vescovi dell’allora Yugoslavia definivano “non soprannaturali” le apparizioni. Alla fine, a ogni modo, la congregazione per la Dottrina della fede fornirà solo un parere consultivo, visto che sarà il Papa a decidere e – secondo il cardinale arcivescovo di Sarajevo, Vinko Pulic, membro della commissione Ruini – “Francesco prenderà una decisione giusta e buona”.
Editoriali
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