"L'islam c'entra eccome con la violenza e negarlo aggrava il problema"
Roma. “Ciò che è sicuro rispetto alla strage di Orlando, è che Barack Obama ha torto. La sparatoria di domenica notte con l’islam c’entra eccome, anche perché nell’islam l’omosessualità è una pratica assolutamente condannata”. Padre Samir Khalil Samir, islamologo gesuita di fama mondiale e già consigliere di Benedetto XVI, guarda a quanto accaduto in Florida e conversando con il Foglio si mostra poco interessato alle distinzioni, spesso sottili e di lana caprina, che in queste ore i leader mondiali occidentali vanno facendo per tranquillizzare se stessi e le opinioni pubbliche che governano. “Non è necessario che Omar Mateen fosse o meno un seguace o solo un simpatizzante dello Stato islamico”, dice Samir, che invita a guardare il problema più in profondità: “Nell’islam stiamo vivendo una fase di radicalismo e quotidianamente si insegna che queste pratiche vietate necessitano di un castigo per ritrovare l’autenticità del vero islam. La deriva radicale in cui siamo immersi si autodefinisce come l’autentico islam, mentre tutte le altre forme del credo musulmano sono viste come un qualcosa di influenzato dall’occidente corrotto”.
L’omosessualità nel Corano
"Sono quattro brani del Corano che alludono al tema dell’omosessualità, partendo dalla storia di Loth dell’Antico Testamento.
Il primo – spiega il nostro interlocutore – è nel capitolo VII (vv.80-82) e dice 'Quando Lot disse al suo popolo compirete forse voi questa turpitudine tale che mai nessuno la commise prima di voi al mondo? Poiché voi vi avvicinate per libidine agli uomini anziché alle donne. Anzi, voi siete un popolo senza freno alcuno’.
Il secondo testo è nel capitolo XXVI (vv.165-seguenti):
'Vi accosterete voi ai maschi fra le creature e abbandonerete le spose che per voi ha creato il Signore? Siete un popolo ribelle!’. Risposero: ‘Se tu non cessi, o Lot, sarai di certo cacciato dalla nostra città’. Rispose: ‘Le vostre azioni le odio! Signore, salvami e salva la mia gente dal loro turpe agire’. E ancora, 'Poi distruggemmo gli altri tutti e facemmo cadere su di loro una pioggia, terribile pioggia per gli ammoniti invano'.
Anche in un altro capitolo, Corano XXIX (vv.28-29): 'Rammenta Lot allorché disse al suo popoli Voi davvero commettete nefandezze che non commise mai creatura alcuna prima di voi. V’accostate voi dunque agli uomini e vi date al brigantaggio, e nelle vostre riunioni promettete azioni turpi. E l’unica risposta del suo popolo fu: Portaci dunque il castigo di Dio se sei davvero sincero'.
Infine – prosegue padre Samir – nel capitolo IV (vv. 15): 'E se due di voi commettano atto indecente puniteli; ma se si pentono e migliorano la loro condotta lasciateli stare, ché Dio è perdonatore benigno'. Almeno tre passi del Corano ne parlano".
Nella tradizione, cioè nei detti e fatti della vita di Maometto, e nella pratica
Quello che è necessario dire, puntualizza l'islamologo docente al Pontificio istituto orientale di Roma, è che nella tradizione, cioè nei detti e nei fatti di Maometto, l’opinione maggioritaria è che l’atto omosessuale debba essere punito con la morte". La situazione nei vari paesi a prevalenza islamica è varia. Vediamone alcuni. In Afghanistan l’omosessualità è illegale. Nel codice penale, al capitolo ottavo, adulterio, pederastia e violazione dell’onore (Articolo 427) sono puniti nel modo seguente: se la persona ha più di 18 anni, la pena è la morte. In Algeria è illegale. Il codice penale, qui (articolo 338), prevede che la pena per due adulti va da 2 mesi a 2 anni (più una pena pecuniaria). Ma se è interessato un minorenne, allora la pena è di tre anni di prigione e diecimila dinar algerini di multa. Nel diritto dell’Arabia Saudita, è illegale. E la pena è la morte. In Azerbaijan e Bahrein non è illegale: non si dice che è legale – precisa – ma neanche che è illegale. In Bangladesh è illegale, così come nel Brunei, nelle Comore, a Gibuti. In Egitto la situazione è diversa: la pena è leggera, fino a tre mesi di prigione. Negli Emirati Arabi Uniti è illegale, e la pena è la morte. In Gambia e Guinea è illegale. In Indonesia – nella provincia di Aceh – è illegale, con pena di morte. In Iran è illegale. In Iraq si è più tolleranti, non è illegale, ma c’è gente che applica la pena di morte anche se lo Stato non lo fa direttamente. In Giordania non è illegale, in Kuwait sì". Un fatto particolare, osserva Samir, è la "distinzione tra l’omosessualità maschile e quella femminile. Quest’ultima è quasi dappertutto accettata. Non è illegale. E’ praticata meno e non è di tipo violento. Questo quadro è per dire che grosso modo l'omosessualità è ritenuta un po' ovunque illegale, con la pena che va da alcuni anni di prigione fino alla morte".
Manifestazioni a Orlando dopo la strage di sabato notte (LaPresse)
La reazione americana e l’islam
Sui fatti di Orlando, Samir premette che "la reazione di quest’americano di origine afghana è stata molto violenta. Sembra chiaro che fosse in relazione con Daesh. Ciò che è sicuro – e rispondo così a Barack Obama, che ha detto che dopotutto si trattava di un cittadino americano e che la strage non c’entra con l’islam – è che Obama ha torto. Già prima aveva detto che l’islam non è una religione violenta. Lo dice probabilmente anche in vista delle elezioni, per non incoraggiare DonaldTrump".
L'omosessualità nell'islam è assolutamente condannata, anche se è relativamente diffusa
Il fatto è che "l'omosessualità nell’islam è assolutamente condannata, anche se è relativamente diffusa. Sicuramente i testi del Corano sono radicali. Ecco perché poco importa che Omar Mateen fosse o meno un seguace dell'Isis". Il problema grave è che stiamo vivendo nell’islam un periodo di radicalismo; nell’insegnamento quotidiano si parla di queste pratiche vietate e del castigo necessario per ritrovare l’autenticità del vero islam. Il radicalismo che stiamo vivendo si presenta come l’islam autentico, mentre tutte le altre 'forme' islamiche sono viste e presentate come influenzate dall’occidente, percepito come corrotto".
Si torna così all'interpretazione dei detti di Maometto, veri o presunti che siano. Molti fondamentalisti, spiega Samir, "si appoggiano sempre a versetti coranici e commenti che dicono di uccidere, anche se non si sa quali dei detti di Maometto siano autentici e quali no. Esistono sei volumi scritti da autori altomedievali che hanno cercato di fare una chiarire la faccenda, e il loro lavoro è sfociato nel 'Libro dei detti autentici' (i Sahîh). Ma anche questi, oggi, sono messi in dubbio. Ci sono almeno seimila detti attribuiti al Profeta, ma nessuno sa se siano veramente autentici. Il criterio usato non è scientifico, perché è quello della tradizione (ho sentito un tale che ha attribuito questo a Maometto, che l’aveva sentito da un tale, che a sua volta l’aveva sentito...). Oggigiorno, è difficile riconoscere questi detti come autentici. Ma è sicuro che tra questi ci sono molti in cui si afferma la necessità di 'uccidere' o 'tagliare la mano'".
Nel Corano – prosegue il nostro interlocutore – a proposito dell’omosessualità si parla di castigo. Può essere interpretato come la morte. Questa ambiguità rende il tutto assai fluido. E’ la tragedia di oggi: la maggioranza dei musulmani (diciamo del 60 per cento) non è favorevole all’applicazione letterale di queste pene. Certamente non è favorevole al terrorismo, benché proprio due giorni fa abbia letto uno studio realizzato in America che vede il 35-40 per cento dei musulmani favorevoli all’Isis".
Samir Khalil Samir è un islamologo gesuita d'origine egiziana
La radicalizzazione dell’islam da circa 50 anni
Il cambiamento in atto dura da almeno mezzo secolo, sostiene l'islamologo egiziano nella conversazione con il Foglio: "La tradizione radicale è diffusa attraverso l’insegnamento degli imam, e questa è la malattia attuale dell’islam. Un secolo fa non era per niente così. L’islam era molto più aperto anche alla modernità. Oggi – dagli anni Sessanta in poi – siamo in presenza di un movimento che pretende di tornare all’origine, al momento più radicale e fondamentalista. Non serve dire che questo non è l’islam, perché non fa altro che rafforzare la corrente più fondamentalista. Bisogna dire che questo è inaccettabile. Chi lo pratica lo fa con convinzione. Chi uccide pensa di praticare l’autentico islam, e come i membri dell’Isis la pensa un terzo dei musulmani". Insomma, prosegue, "dire che l’islam non c’entra nulla, non risolve il problema. Semmai lo accentua. E’ anche un problema della chiesa cattolica. Io l’ho segnalato al segretario del Santo Padre. Sono stato da lui e gli ho detto 'Guardi, provi a trasmettere al Papa questo messaggio'. Io – dice – capisco l’intento del Papa. C’era un accordo con l’Università di al Azhar per tenere incontri regolari islamo-cristiani. Appena iniziati, al Azhar unilateralmente e senza preavviso annunciò che aveva deciso di rompere i rapporti, un po’ più di cinque anni fa.
Da allora, il Vaticano ha fatto tutti gli sforzi possibili. Ha mandato il cardinale Jean-Louis Tauran, il nunzio. Inutilmente. Pochi mesi fa, il vescovo Miguel Ayuso s'è recato direttamente al Cairo. Dopo un’ora di attesa, gli hanno comunicato che il rettore era impegnato e non poteva riceverlo". Sul rapporto con il Grande imam dell'università del Cairo, Ahmed al Tayyeb, Samir si sofferma ancora: "Penso alla visita di al Tayyeb in Germania, davanti al cui Parlamento ha osato dire che nel Corano non c'è violenza perché lì non si trova la parola seif (spada). Il che – chiosa – è ridicolo come argomento". Quanto alla visita dell'autorità sunnita in Vaticano, "io penso che il Santo Padre non abbia voluto fomentare uno scontro, bensì che fosse prima di tutto interessato a riprendere i rapporti in modo da uscire dall'impasse. E' un atteggiamento di diplomazia".
Qual è la soluzione?
La violenza, osserva Samir, "fa parte certamente sia del Corano,sia della vita di Maometto. Chi lo nega o mente o è ignorante. E penso sia meglio essere ignoranti". Ma la soluzione qual è? "Ripensare e accettare le norme dell'etica, essenzialmente quelle contenute nella Carta universale dei Diritti dell'uomo, che i paesi musulmani – benché l'abbiano formalmente sottoscritta – non la applicano. Mi riferisco, a titolo di esempio, alla libertà di coscienza, che non è permessa. Infatti, se una persona in segreto abbandona l'islam, ciò è tollerato. Se lo fa pubblicamente, la pena è la morte. Ovunque".
Ma questo modo di pensare e di agire "non risolve alcun problema. Non permette un dialogo con i musulmani. Bisogna riprendere in mano il Corano e dire chiaramente che quanto scritto era rivolto a una determinata cultura". L'obiezione è che anche nella Bibbia di violenza ce n'è, basti considerare intere pagine del Vecchio Testamento: "E' vero, c'è scritto 'occhio per occhio, dente per dente'.
Ma poi – afferma l'islamologo – è venuto Cristo, il quale ha raccomandato di superare tutto attraverso il perdono. Ciò che voglio dire, è che qui c'è stato un progresso, abbiamo dovuto rileggere l'Antico Testamento alla luce del Nuovo. Ed è questo che manca oggi all'islam.
La soluzione consiste nel domandarsi cosa avesse voluto Dio insegnare con un determinato passaggio di quel testo. Ciò che c'è scritto sulla carta è pensato per un popolo e una mentalità di quattordici secoli fa". Bisogna, insomma, guardare "allo scopio di Dio, cioè dobbiamo cercare con la nostra mentalità di attualizzare il dato comando divino. In arabo quest'operazione si concretizza nel cercare le maqâsid al-shari’ah , cioè lo scopo, gli oggettivi, della Legge divina, non la lettera. Per dirlo con San Paolo: “La lettera uccide; lo spirito vivifica!” (2 Cor, 3).
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