Più libertà e indipendenza ai popoli: il futuro dell'Europa secondo Papa Francesco
Roma. All’Europa tramortita dall’uscita tramite referendum dai confini comunitari della Gran Bretagna serve “una sana disunione”, dice il Papa a bordo dell’aereo che dopo i tre giorni di viaggio apostolico in Armenia – con la Turchia pronta a convocare il nunzio dopo che Francesco ha ripetuto che il massacro del 1915 fu un “genocidio” – l’ha riportato a Roma. Una disunione che significa “dare più indipendenza, più libertà ai paesi dell’Unione. Pensare un’altra forma di unione. Essere creativi”. Il Pontefice non si è dilungato sull’esito del voto britannico, benché abbia lasciato intendere che non c’è la necessità di drammatizzare: “E’ stata la volontà espressa dal popolo, e questo richiede a tutti noi una grande responsabilità per garantire il bene del popolo del Regno Unito e anche il bene e la convivenza di tutto il continente europeo”, aveva detto venerdì in un primo scambio di battute con i giornalisti.
Ben più esaustivo, Francesco lo era stato lo scorso maggio, nel discorso d’accettazione del premio Carlo Magno che gli era stato conferito. “Questa famiglia di popoli, lodevolmente diventata nel frattempo più ampia – aveva detto dinanzi alle personalità dell’arco istituzionale comunitario – in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai padri. Quell’atmosfera di novità, quell’ardente desiderio di costruire l’unità paiono sempre più spenti; noi figli di quel sogno siamo tentati di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari. Tuttavia, sono convinto che la rassegnazione e la stanchezza non appartengono all’anima dell’Europa e che anche le difficoltà possono diventare promotrici potenti di unità”. Già nel 2007, due anni dopo il fallimento dei referendum europei in Francia e Olanda, Benedetto XVI vedeva nubi addensarsi sul processo d’integrazione comunitario.
Intervenendo dinanzi ai partecipanti al Congresso promosso dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea in occasione del cinquantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, Benedetto XVI osservava che “in questi anni si è avvertita sempre più l’esigenza di stabilire un sano equilibrio fra la dimensione economica e quella sociale, attraverso politiche capaci di produrre ricchezza e d’incrementare la competitività, senza tuttavia trascurare le legittime attese dei poveri e degli emarginati. Sotto il profilo demografico – aggiungeva – si deve purtroppo constatare che l’Europa sembra incamminata su una via che potrebbe portarla al congedo dalla storia. Ciò, oltre a mettere a rischio la crescita economica, può anche causare enormi difficoltà alla coesione sociale e, soprattutto, favorire un pericoloso individualismo, disattento alle conseguenze per il futuro”.
C’era un punto in particolare che legava il discorso del Pontefice oggi emerito alla riflessione di Bergoglio. Diceva infatti Ratzinger che “non si può pensare di edificare un’autentica casa comune europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali”. “Non è motivo di sorpresa – aggiungeva – che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di apostasia da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la ponderazione dei beni sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà – è la chiosa – se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogni qualvolta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo”.
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