Mea culpa islamico
Roma. La tanto attesa, invocata e annunciata (per ultimo, ancora una volta, dal Grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, dopo il martirio di padre Jacques Hamel, in Normandia) riforma dell’islam passa anche dal cambiare i nomi delle moschee. Due, in Spagna, hanno già provveduto: via il nome di Tariq ibn Ziyad, spazio a ibn Rochd, che poi altri non è che Averroè. Il cambiamento sta tutto nella biografia dei due uomini. Tariq ibn Ziyad, detto “Tariq il guercio”, è stato uno dei più grandi conquistatori musulmani della Spagna a cavallo tra il Settimo e l’Ottavo secolo. Occupò Siviglia e Cordoba, quindi Toledo. Averroè è stato con Avicenna il più grande filosofo islamico medioevale che fece riscoprire in occidente Aristotele. I primi a plaudire alla scelta sono stati i membri della Conferenza degli imam francesi, ormai in chiaro dissenso con il Consiglio del culto musulmano, l’organismo ufficialmente riconosciuto dall’Eliseo che ha voce in capitolo sull’edificazione di nuove moschee e su tutto ciò che abbia a che fare con la religione islamica sul suolo francese.
“Le istituzioni musulmane in Europa devono uscire dalla storia conflittuale con l’occidente”, hanno commentato i vertici della Conferenza, salutando la decisione spagnola come il primo timido passo verso un nuovo modo per l’islam di rapportarsi ai princìpi europei. Molto ancora va fatto. Che la religione in questa guerra fatta di Tir che falciano ottanta persone sul lungomare di Nizza e di preti sgozzati ai piedi dell’altare c’entri, lo dimostra l’appello che in molte moschee francesi è stato letto ieri. Un testo in cui emerge con forza il fallimento dell’integrazione a lungo agognata e spacciata per realizzata nel comiziare politico e intellettuale. “Questo paese di luce, tollerante e umano che ci ha ricevuto e che ci ha permesso di costruire quattromila moschee e luoghi di culto (nonostante tutte le difficoltà) non merita di essere aggredito in questo modo. Merita di essere difeso con il cuore da tutti i cittadini, soprattutto dagli imam e dai musulmani”. Lo sconforto trapela a scorrere il documento, specie quando ci si domanda perché il fondamentalismo abbia attecchito con forza in un paese che “si è opposto alla guerra in Iraq nel 2003, ha contribuito alla liberazione del popolo libico e ha sostenuto il popolo siriano fin dall’inizio. Esiste in ogni ospedale una rappresentanza islamica ufficiale pagata con i contributi dei cittadini francesi. Questo è il paese che spalanca le braccia ai suoi figli musulmani all’interno della popolazione, dell’esercito e di tutte le amministrazioni dello stato”.
A essere accusato è proprio il Consiglio del culto, che nulla avrebbe fatto per evitare che Saint-Denis diventasse un ghetto di fatto precluso a chi non ne fa parte, e che la Rouen della cattedrale celebrata da Monet diventasse il porto di partenza per giovani pronti a convertirsi in combattenti califfali a Raqqa. “Dobbiamo contrastare questo radicalismo in tutte le forme in cui si manifesta”, ha detto al Tg2000 il portavoce della Grande moschea di Roma, Omar Camiletti, che s’è mostrato perplesso con l’iniziativa promossa dal Consiglio francese del culto musulmano (condivisa dal Coreis, la Comunità religiosa islamica) di affollare le chiese, domenica prossima, durante la messa: “Il gesto simbolico è assolutamente apprezzabile ma non è sufficiente. Abbiamo bisogno di contrastare l’eccesso di separatezza. Più che un gesto simbolico è necessario impostare un lavoro permanente di conoscenza e di avvicinamento a un luogo della religione della maggior parte degli italiani: le chiese cattoliche”.
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