Parolin parla più chiaro
L’occasione per la lunga intervista concessa ieri ad Avvenire dal cardinale Pietro Parolin è la sua presenza oggi a Canale d’Agordo alle celebrazioni del 38esimo anniversario dell’elezione di Papa Albino Luciani, a testimonianza del suo “particolare amore e la particolare devozione”. Ma l’intervista serve al segretario di stato vaticano anche per fare il punto sulla drammatica situazione mediorientale, le sue connessioni interreligiose, il ruolo della chiesa e le responsabilità occidentali. Parole come al solito misurate ma che servono a precisare le posizioni della Santa Sede, al di là di certi aspetti di confusione che le estemporanee conferenze stampa papali possono aver generato, tra suocere ammazzate e pugni per difendere l’onore della mamma.
Ovviamente non ci sono contraddizioni rispetto a Papa Francesco che “ha rifiutato chiaramente la tesi secondo cui staremmo assistendo ad una guerra di religione. Non c’è una guerra tra cristianesimo e islam”. Una linea di pensiero che conferma il “dialogo interreligioso” come “condizione necessaria per la pace nel mondo”, e insieme sottintende la preoccupazione di un aggravamento del clima delle persecuzioni già in atto. Parolin però sottolinea che “non si può negare che i militanti dell’Isis stanno strumentalizzando l’islam per giustificare i loro atti di violenza. E le loro dichiarazioni in tal senso sono proprio un tentativo di evocare la cosiddetta ‘guerra di religione’”. E quella strumentalizzazione religiosa non deve essere taciuta, ma riconosciuta e condannata. Infine c’è un richiamo alle leggi internazionali, alle responsabilità degli stati e all’obbligo per l’Onu “di mantenere la pace e la sicurezza”, seppure “il ricorso a mezzi militari” rimanga previsto “solo come ultima istanza”. Ma secondo il segretario di stato è evidente che “la debolezza della Comunità internazionale nell’assumere le proprie responsabilità”, nonché alcuni “interventi di forze straniere”, hanno contribuito ad aggravare la situazione della “guerra mondiale a pezzi”. Parole che nel complesso suonano come un invito alla comunità degli stati ad agire, e non come una debolezza travestita da irenismo. E indicano che la chiesa, quando scende dall’aereo, una sua linea ce l’ha.
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