Moderato tendenza liberal: il profilo del vescovo prediletto dal Papa
Roma. I cattolici americani non ne vogliono sapere di votare Donald Trump alle prossime elezioni, scrive il Washington Post presentando una serie di sondaggi e tabelle che fotografano la supremazia di Hillary Clinton tra l’elettorato che si considera fedele alla chiesa di Roma. Un “bel problema”, scrive il quotidiano statunitense, anche se è costretto a osservare come già quattro anni fa i cattolici preferirono il liberal Barack Obama al repubblicano (mormone) Mitt Romney. Chissà, scrive il quotidiano della capitale, magari è colpa (o merito) del Papa, con quella battuta fulminante pronunciata mesi fa in aereo contro The Donald: “Chi vuole muri non è cristiano”. Vero o meno che sia, Francesco all’America guarda eccome. Nel cuore dell’estate, in tempo di vacanze e riposo, ha promulgato una delle nomine destinate a segnare il pontificato. La designazione del vescovo di Dallas, Kevin Farrell, a capo del nuovo dicastero che incorpora laici, famiglia e vita “mostra ancora una volta che Papa Francesco ha un’idea davvero chiara di come vanno le cose nella chiesa degli Stati Uniti e di chi, in quella gerarchia, sostiene la sua visione”, ha scritto un entusiasta Michael Sean Winters, columnist progressista del National Catholic Reporter, commentando una scelta che rappresenterà una bussola per le future scelte papali.
Si erano fatti tanti nomi nei mesi scorsi, ma alla fine Bergoglio è andato a pescare un irlandese trapiantato in Texas, già membro dei Legionari di Cristo, assai attivo sui social network, poliglotta. Il compito di mons. Farell sarà delicato, anche perché spetterà a lui assicurare che i princìpi incardinati nella Amoris laetitia post sinodale siano recepiti a ogni latitudine, soprattutto in quei settori del clero che meno propensi si sono dimostrati ad accogliere le aperture che l’ampio documento firmato da Francesco porta con sé. Ed è proprio negli Stati Uniti che questo punto viene più sottolineato: il primo a compiacersi della nomina è stato Blase Cupich, arcivescovo di Chicago che per orientamento e tratto pastorale è assai distante dal profilo del culture warrior che ha dominato l’episcopato americano negli ultimi tre decenni. Winters cita la nota diffusa dal cardinale Donald Wuerl, arcivescovo di Washington, che subito ha legato la chiamata romana di Farrell alla necessità di garantire una “più estesa diffusione e comprensione” di Amoris laetitia, chiaro riferimento alle perplessità, sfociate anche in appelli autorevoli presentati al Papa, su quanto il testo post sinodale afferma.
Ma c’è molto di più dietro la scelta del vescovo di Dallas, che va letta in parallelo al discorso pronunciato un anno fa dal Pontefice dinanzi ai presuli americani nella cattedrale di San Matteo, a Washington, in cui si chiedeva un cambiamento radicale di strategia rispetto al trentennio precedente. Farrell incarna un profilo opposto alla linea tuttora preponderante di presenza muscolare nell’arena pubblica a difesa di quei valori cosiddetti non negoziabili. Basti considerare che a capo del comitato della locale conferenza episcopale chiamato a elaborare le linee guida interpretative dell’esortazione post sinodale è stato eletto l’arcivescovo di Philadelphia, Charles Chaput, conservatore e autore di un commento che non rispecchia lo spirito del documento secondo quanto illustrato più volte dalla mente di Amoris laetitia, cioè dal cardinale austriaco Christoph Schonborn.
Il cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, conferma che la designazione di Farrell è un preciso segnale, sottolineando che il prescelto “ha la visione pastorale di Papa Francesco”, che non è quella dell’arroccamento a difesa del fortino. Dell’ormai vescovo emerito di Dallas si sottolinea l’attenzione per le tematiche sociali, il che non significa essere poco attento a quelle pro-life. Di certo, a Dallas Farrell ebbe diversi scontri con l’ala più conservatrice del clero, che lo portarono nel 2009 a biasimare ogni “dogmatismo, chiusura mentale, giudizialismo”. Parole che rievocano quanto il Papa più volte ha detto nel biennio sinodale.
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