Tornano i raduni di Assisi, senza traccia delle correzioni ratzingeriane
Roma. E’ un ritorno alle origini, al modello impostato trent’anni fa da Giovanni Paolo II e condiviso da Francesco, che del dialogo ecumenico e interreligioso è assoluto sostenitore, anche considerato l’attuale scenario globale segnato da conflitti e tensioni anche a sfondo religioso. Il programma della visita di martedì del Papa ad Assisi, per la Giornata mondiale di preghiera per la pace, è più simile allo schema del 1986 che a quello di cinque anni fa, con le correzioni volute da Benedetto XVI. Soprattutto perché si torna al momento di preghiera “in diversi luoghi” pubblici, e cioè a una spettacolarizzazione che Joseph Ratzinger aveva avversato, disponendo che la preghiera post prandiale dei partecipanti si svolgesse in modo riservato: “A ciascuno dei partecipanti sarà assegnata una stanza nella casa di accoglienza adiacente al Convento di Santa Maria degli Angeli”, si leggeva nel programma del 2011. Benedetto XVI aveva declinato l’invito che gli era stato inoltrato nel 2006, un anno dopo l’elezione a Pontefice, nel ventennale del primo incontro. In un messaggio inviato al vescovo di Assisi, scrisse che “per non equivocare sul senso di quanto, nel 1986, Giovanni Paolo II volle realizzare, e che, con una sua stessa espressione, si suole qualificare come ‘spirito di Assisi’, è importante non dimenticare l’attenzione che allora fu posta perché l’incontro interreligioso di preghiera non si prestasse a interpretazioni sincretistiche, fondate su una concezione relativistica”.
In un passaggio di “Ultime conversazioni”, il recente libro intervista curato dal suo biografo Peter Seewald, il Papa emerito conferma lo scarso entusiasmo per quell’evento, tanto che fu una delle poche questioni che lo fecero dissentire da Giovanni Paolo II. “E’ vero – dice a Seewald – ma non abbiamo avuto contrasti perché sapevo che le sue intenzioni erano giuste e, viceversa, lui sapeva che io seguivo un’altra linea. Prima del secondo incontro di Assisi mi disse che avrebbe comunque gradito la mia presenza e io ci andai. Quello fu anche un incontro meglio organizzato. Le obiezioni che avevo sollevato erano state accolte e la forma che la manifestazione aveva assunto mi permetteva di partecipare”. Sempre nella lettera inviata al vescovo della città umbra, Benedetto XVI aggiungeva che “è doveroso evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla”.
Nel programma del trentennale, degli appunti ratzingeriani non v’è traccia. Dopo il “Momento di preghiera per la pace”, come detto in “diversi luoghi”, si terrà la preghiera ecumenica dei cristiani, seguita dall’incontro dei partecipanti “con i rappresentanti delle altre religioni, che hanno pregato in altri luoghi”. A concludere, una teoria di messaggi, da “un testimone vittima della guerra” al Patriarca Bartolomeo I, da un rappresentante musulmano a uno dell’ebraismo, fino all’intervento del Patriarca buddista giapponese e, a seguire, di Andrea Riccardi, che precederà le parole del Papa. Nessuna traccia della “monizione” finale, che cinque anni fa fu tenuta dal cardinale Kurt Koch. Padre Enzo Fortunato, direttore della Sala stampa del sacro convento, ha definito “profondamente significativa la presenza di ventisei delegazioni islamiche dall’Egitto all’Indonesia, della comunità italiana e di sei premi Nobel per la pace che seguiranno di persona l’evento”.
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