Beato perché sgozzato sull'altare. La religione c'entra
Roma. Il vescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun, ha annunciato che la causa di beatificazione di padre Jacques Hamel, il sacerdote ultraottantenne sgozzato sull’altare della chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray lo scorso luglio da due jihadisti riconducibili allo Stato islamico, è aperta. E’ stato il Papa in persona – che lo scorso settembre aveva detto “padre Jacques è già beato” – a dispensare dall’attesa canonica dei cinque anni, decidendo che l’iter può partire subito, senza attendere le lungaggini burocratiche. Una rarità nella storia della chiesa (si ricordano i precedenti di Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta). Francesco, conversando con i giornalisti a bordo dell’aereo che lo riportava a Roma dopo il viaggio nel Caucaso, si è mostrato più prudente – “Ho parlato con il cardinale Amato, prefetto della congregazione per le Cause dei santi, faremo degli studi e lui darà la notizia ultima” – confermando però che “l’intenzione è andare su questa linea”.
E si va spediti perché padre Jacques è stato ucciso in odium fidei, cioè in odio alla fede. Sul Catholic Herald, il teologo morale padre Alexander Lucie-Smith scrive che qualcosa non torna: “Ciò che mi colpisce riguardo l’intervento del Papa è che questa decisione non sembra accordarsi con le altre cose che il Papa stesso ha detto circa la violenza islamista. Se gli assassini di padre Hamel l’hanno ucciso in odium fidei, ciò significa che questo è stato un delitto religiosamente motivato”. Lucie-Smith si augura che il sacerdote morto mentre celebrava la messa in una mattina di luglio sia non beatificato, bensì canonizzato al più presto. Tuttavia “se padre Hamel sarà fatto santo, come ci si comporterà riguardo alle parole del Pontefice secondo cui il terrorismo non scaturisce dalla religione in sé ma da motivazioni economiche e d’altro tipo?”.
Il Catholic Herald riprende quanto scrisse, all’indomani dell’assassinio, l’Observer – non sospettabile di fare da megafono alla destra tradizionalista – secondo cui “il Papa potrebbe avere ragione nel dire che questa non è una guerra tra religioni, di certo non è una guerra condotta da leader religiosi riconoscibili come è egli stesso. Ma dire che l’odierna battaglia globale (in via di intensificazione) non è almeno in parte anche una lotta religiosa e spirituale, è di sicuro un’illusione”. I santi, scrive Lucie-Smith, “non sono lì per farci sentire a nostro agio, ma per sfidarci”. Padre Hamel “presenterà una sfida utile ai cattolici. Ci chiederà se siamo pronti a morire al suo servizio. Ma sarà una sfida utile anche per il mondo islamico, cui chiederà di confrontarsi con la realtà – spesso negata – che porta alcuni musulmani a dipendere dalla violenza”. Oppure, “ci potrebbe essere un tentativo di leggere la vita e la morte di padre Hamel sotto una luce diversa, di vederlo come un martire che è morto per il dialogo e la comprensione religiosa. Infatti, tale tentativo è già in corso. Ma a quel punto, avremmo un’altra indicazione che la canonizzazione” del sacerdote francese “non sarà senza polemiche”.
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