Perché la chiesa dovrebbe andare a lezione da chi l'ha rinnegata?
Che i cattolici abbiano qualcosa da imparare da Lutero, come dice Francesco e come ha detto anni fa anche Benedetto XVI, è giusto anche da una prospettiva di osservazione integralmente laica. Lutero fu un genio religioso immenso e fu un riformatore nelle intenzioni, un rivoluzionario potente nelle conseguenze. La sua lettura di san Paolo, la sua idea che solo la fede può rendere giusto l’uomo di fronte al giudizio di Dio, non le opere, non un apostolato clericale da sostituire con il sacerdozio universale dei credenti; il suo fervore tenebroso e santificante nel riconoscersi peccatore nel profondo dell’anima e della sua irredenta umanità, e solo attraverso la fede salvo e peccatore insieme; la sua dialettica filosofica devastante per la metafisica, fondatrice dell’Ego moderno, del rapporto diretto tra Dio e l’individuo: tutto questo e molto molto altro è insegnamento per chiunque abbia interesse alla storia dello spirito, della pietà e della teologia, è testimonianza formidabile. Sul piano soteriologico (la salvezza, la salus animarum) e su quello storico, sotto il profilo dell’evoluzione delle idee, delle credenze, dell’immaginazione di luce che è o dovrebbe essere la religione dei fedeli sulla scia del vangelo, campeggiano il suo rigetto, prima ancora delle indulgenze sonanti dei papi rinascimentali, del Cristo della gloria a favore del Cristo della croce, la sua spietata dissacrazione del meretricio ecclesiastico del suo tempo, arrivata fino alla negazione di tutti i sacramenti tranne due: ecco altri elementi di propulsione e di spirito bellico antiromano del grande monaco sassone che divise l’Europa cristiana. Il suo punto di contatto con Francesco, a parte il noto anticlericalismo del capo della chiesa oggi, è scritturale, la sola scriptura, l’applicazione immediata del vangelo (questo libro bellissimo e selvaggio che va letto cum glossa) senza l’ausilio dell’interpretazione ecclesiastica, l’annuncio cristiano come consegna al popolo della facoltà teologica, il plebiscito mistico di ogni giorno (come direbbe Ernest Renan).
Ma qualche problema c’è, e passarvi sopra non è possibile da alcun punto di vista (dentro e fuori le mura di perimetrazione della chiesa o delle chiese). Lutero con i sacramenti e la messa negava anche il libero arbitrio e la erasmiana ragione naturale. L’ipotesi che la ragione sia una via a Dio, complementare alla fede e ad essa integrata, lo faceva imbestialire. La sua modernità umanistica era accoppiata con le doglie di un ritorno al medioevo, e fu il breve pontificato di Adriano VI, un olandese di sensibilità erasmiana, il momento di scontro maggiore tra l’eresia luterana e la chiesa. La libertà del cristiano era per lui un sublime misticismo, una vocazione inattingibile e inesprimibile in termini di laicità, e per confutare e sovvertire la diabolica teocrazia romana, come lui la definiva, “lasciò aperta la porta al cesaropapismo” (Roland H. Bainton), all’assolutismo politico in cui la coscienza è consegnata al sovrano. In una eco machiavellica diceva che “il mondo non si governa con il rosario”, era fin troppo consapevole della forza necessaria alla sua idea di autorità, come dimostrò nella spietata collusione con i principi nella lotta contro il movimento dei contadini, che considerava e in parte era una forma di fanatismo.
In sostanza: Lutero rinnegò la chiesa, la dottrina, il clero, i dogmi, i sacramenti, reimbarcarsi con lui, perché non sia un’operazione di facciata mediatica, vuol dire andare alla radice della questione. Alla considerazione semplice, non carismatica, esteriore di chiunque guardi la cosa in sé, con l’insegnamento di Lutero che diventa ausilio del magistero cattolico, la chiesa perde la quintessenza della sua dimensione razionale di fede che rende conto di sé, recide la laicità che fu prodotto non secondario dell’alleanza costantiniana, si inoltra in un profetismo secolarizzante pieno d’ombra e in un misticismo, in una fede solo interiore, in un abbandono a Dio e alla sua misericordia, tra il popolo, per il popolo, sotto la sovranità della legge di stato, che nega la sua vocazione apostolica, e si scioglie nella pratica evangelica originata dalla Riforma nel Cinquecento. Insomma, andiamo alla radice e vediamo se sia il caso di chiudere baracca e burattini.