Ci sono i vescovi europei che chiedono al Papa una “svolta” vera sui migranti
Roma. “Cosa penso dei paesi che chiudono le frontiere? Credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare”. Le parole del Papa ai giornalisti sulla questione migranti, pronunciate sul volo di ritorno dalla due giorni in Svezia per commemorare il cinquecentenario della Riforma luterana, non saranno la spia di una svolta totale rispetto alla posizione della Santa Sede sulla questione – anche perché l’esperienza insegna che Francesco non va preso alla lettera quando parla a braccio – e non ex cathedra – davanti ai taccuini e per di più ad alta quota (vedasi il caso del “pugno” durante una conversazione con i media dopo la strage nella redazione del periodico satirico francese Charlie Hebdo), ma indicano che qualcosa forse è cambiato. I muri, sia chiaro, restano il male da evitare perché contrari allo spirito evangelico, ma poi bisogna valutare caso per caso, paese per paese, situazione per situazione. Fare discernimento e, soprattutto, usando sano realismo politico più che direttive di massima universalmente adattabili a contesti diversi. Pensando la realtà non come la sfera dove tutti i punti sono uguali ed equidistanti dal centro (così il Pontefice a Philadelphia, nel 2015), bensì come a un poliedro, a un qualcosa di irregolare.
La necessità di una terza via
Francesco ha reso esplicito tale concetto quando ha preso a modello proprio la Svezia: “Io non credo che se la Svezia diminuisce la sua capacità di accoglienza lo faccia per egoismo o perché ha perso quella capacità. Oggi tanti guardano alla Svezia perché ne conoscono l’accoglienza, ma per sistemarli non c’è il tempo necessario per tutti”. Cosa abbia fatto addolcire il Vaticano riguardo il tema – soprattutto considerati certi toni assai duri usati in passato – lo si può comprendere andando a rileggere i bollettini che da più d’un anno i vescovi delle varie realtà europee mandano a Roma. Riassumendo: va bene l’accoglienza, purché sia ragionata. La richiesta di individuare, insomma, una terza via tra pensare che “chi vuole muri non è cristiano” (così il Papa, sempre in una conferenza stampa aerea di qualche mese fa, riferendosi implicitamente a Donald Trump, nonostante le successive smentite della Sala stampa delal Santa Sede) e il “muro è una misura efficace” (disse alla fine dell’estate del 2015 il vescovo ausiliare di Budapest, mons. János Székely).
Più che gli appelli dei vescovi siro-iracheni che da tempo parlano di un’Europa che attrae i profughi come un’omerica sirena, e che di conseguenza sarebbe opportuno non favorire una migrazione di massa dal vicino oriente al vecchio continente – anche per il timore elevato di una definitiva eliminazione della presenza cristiana tra la Siria e l’Iraq – la “svolta” bergogliana appare molto in linea con quanto aveva affermato in proposito l’ascoltato cardinale tedesco Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga nonché presidente della Conferenza episcopale di Germania, non proprio un bastione di intrepidi conservatori reazionari dediti alla blanda difesa del fortino europeo: pur sostenendo la linea della cancelliera Angela Merkel improntata alla massima del Wir schaffen das (ce la possiamo fare) nell’accoglienza dei richiedenti asilo, Marx aveva osservato che “non si tratta solo di misericordia, ma anche di ragione. La politica deve sempre concentrarsi sul possibile e ci sono certamente dei limiti. La Germania non può farsi carico di tutti i sofferenti del mondo”. Concentrarsi sul possibile, dunque, che poi è ciò che il Papa ha detto in aereo.