Quando il rispetto per l'altro porta un cardinale a nascondere la croce
Roma. E’ dovuto intervenire il portavoce della Conferenza episcopale tedesca, Matthias Kopp, per cercare di porre un argine alle polemiche montate in Germania dopo la visita dei giorni scorsi a Gerusalemme del cardinale Reinhard Marx (numero uno dell’episcopato locale e arcivescovo di Monaco e Frisinga) in compagnia del capo della chiesa evangelica di Germania, Heinrich Bedord-Strohm. Recandosi in visita alla Cupola della roccia e alla moschea di al Aqsa, infatti, Marx e Bedord-Strohm si sono levati la croce pettorale, evitando di esibire il simbolo della propria confessione religiosa mentre salivano il Monte del Tempio, uno dei due siti della capitale israeliana rispetto ai quali l’Unesco, con una doppia risoluzione di qualche settimana fa, ha negato il legame con la millenaria tradizione ebraica (con voto contrario della Germania, tra i pochi paesi occidentali a essersi opposto al documento). Kopp, in una nota inviata all’agenzia Kath.net, ha spiegato che “si è trattato di un gesto di discrezione, un gesto apparso tanto più opportuno in considerazione delle oridinarie tensioni religiose e della ulteriore intensificazione di esse dovuta alla recente risoluzione dell’Unesco”.
Premettendo che la croce è stata nascosta anche durante la visita al Muro del Pianto – sempre per rispetto, quasi si dovesse mantenere una sorta di par condicio religiosa che tanti tratti in comune ha con il più classico politicamente corretto – il portavoce della conferenza episcopale tedesca ha spiegato il senso del gesto: il cardinale Marx e il capo della chiesa evangelica hanno semplicemente voluto dire “noi qui ci sentiamo ospiti, la nostra visita non si accompagna ad alcun tipo di rivendicazione che possa aggravare una controversia già difficile e accesa”. Più sofisticato il messaggio implicito del rappresentante evangelico, secondo cui “solo con il rispetto, l’accortezza, la prudenza e l’umiltà sarà possibile giungere alla pace”.
Simbolismi e propositi che però non hanno per nulla convinto lo storico ebreo (nato a Tel Aviv e cattedratico a Monaco di Baviera) Michael Wolffsohn, che non s’è fatto intenerire neppure dal gesto di rispetto mostrato dinanzi al Muro del Pianto: “A quanto pare, il cardinale cattolico e il vescovo evangelico intendono la tolleranza come la sottomissione o il sacrificio di sé”, ha scritto in un commento sulla Bild, ricordando come persino i Papi che in passato visitarono le moschee – Giovanni Paolo II a Damasco, Benedetto XVI e Francesco a Istanbul – non siano neppure stati sfiorati dall’idea di privarsi della croce pettorale. Anche perché nessun esponente del clero islamico locale, prosegue lo storico, ha mai preteso un gesto di tale portata. La tolleranza, invece, ha aggiunto Wolffsohn “non è né accondiscendenza né sottomissione, ma dovrebbe significare prima di tutto rispetto dell’altro”, accettandolo “come una cosa del tutto naturale”. Il discorso, come prevedibile, è scivolato sul portato simbolico della croce e di quanti rischiano la vita pur di non nasconderla. Basti pensare ai cristiani di Mosul, Qaraqosh, dell’intera piana di Ninive, con le case marchiate e le croci abbattute. Per non parlare della martoriata Aleppo, in Siria.
Di queste considerazioni s’è fatta interprete Miriam Hollstein, che sempre sulla Bild ha ricordato “che tanti uomini sono stati uccisi per avere reso testimonianza alla loro fede con il segno della croce o con una catenina al collo”. Il simbolismo poi rimanda indietro il pensiero di duemila anni: “Sul Monte del Tempio, Gesù prese su di sé la croce. Poprio lì, i suoi successori l’hanno messa da parte”.
Il cristianesimo non è utopia