Papa Francesco (foto LaPresse)

"Il Papa sta secolarizzando la chiesa". Intervista a Marcello Pera

Matteo Matzuzzi

"Francesco si offenderebbe se si parlasse di continuità. Siamo davanti a una svolta epocale"

Roma. “Papa Francesco sta secolarizzando la chiesa. D’altronde, se dovesse estromettere dalla chiesa coloro che, pur cattolici, non vivono secondo i precetti della chiesa, la chiesa diverrebbe un deserto. Ecco allora che si va incontro ai valori del secolarismo, cercando di imbastire un dialogo con i sostenitori del secolarismo. Il fine di quest’operazione, credo, è quello di riportare più gente possibile alla chiesa”. Marcello Pera, filosofo, presidente emerito del Senato e già autore – tra le altre cose – con Joseph Ratzinger di “Senza radici” (2004), saggio sul tema delle radici cristiane d’Europa, risponde così alla domanda su quale sia il meccanismo che Francesco ha messo in moto fin dal giorno della sua elezione a vescovo di Roma, nel 2013, e quale sia il fine del pontificato corrente, della missione in corso. “Dialogare con i sostenitori del secolarismo significa dialogare con la modernità, partendo dal presupposto della giustizia sociale”, dice. E’ azzardato parlare dunque di una rivoluzione lanciata dal Soglio di Pietro? Niente affatto, “siamo davanti a una svolta epocale e profonda. Il Papa sta orientando il cristianesimo verso la dottrina sociale, quindi verso una dottrina mondana”.

Marcello Pera (foto LaPresse)

Il dogma della continuità con i predecessori, tanto invocato ed enfatizzato, è poco più d’una illusione, spiega Pera: “Continuità? Credo che il Pontefice si offenderebbe se si parlasse di continuità. Qui c’è invece una forte discontinuità, sono altre le priorità. Dopo il Vaticano II, uno dei grandi temi di discussione – se non il principale – era valutare se la chiesa fosse avviata verso un percorso di continuità o discontinuità. Allora si disse che a prevalere era la continuità. Ora mi sembra di poter dire che sono maggiori gli elementi che indicano una chiara discontinuità”. Non serve andare troppo lontano per accorgersene, è sufficiente guardare al modo con cui il Papa si rapporta all’Europa: “Sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI avevano dato alla loro missione una forte accentuazione occidentale. Si erano con costanza richiamati all’Europa e c’era un’evidente prospettiva occidentale, con il nostro continente visto come la culla dei valori per l’appunto occidentali. Francesco, invece, ha una visione prettamente sudamericana. Non comprende la crisi europea in cui siamo immersi, addebita ogni responsabilità alle istituzioni politiche, agli stati nazionali, al capitalismo. Nessun’altra strada è contemplata”. Elementi che hanno fatto dire a diversi osservatori, soprattutto negli Stati Uniti, che quella papale sia una lettura prettamente marxista della storia.

 

 

Marcello Pera concorda: “Francesco è fortemente influenzato dal marxismo. L’idea di rivolgersi ai poveri è un qualcosa di già visto, soprattutto se penso a quanto si diceva negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, quando si predicava che il marxismo era niente di più che una costola del cristianesimo. Io ho vissuto quella fase storica e credo di poter dire che questo Papa condivida quell’idea. Dopotutto, lo si vede dalle priorità che ha posto in cima alla sua agenda, e cioè i temi della giustizia sociale”. La domanda da farsi, quella più importante, sottolinea il nostro interlocutore, è un’altra: “Il cristianesimo è ancora una religione della salvezza o, piuttosto, è divenuta una religione della giustizia sociale? E’ una religione che cerca la beatitudo o punta alla felicitas?”. Sono cose ben distinte, spiega Pera: “La beatitudo rimanda a una dimensione ultramondana, la felicitas altro non è che la correzione delle ingiustizie presenti nel mondo. La prima va verso l’edificazione della città di Dio, la seconda è diretta alla città dell’uomo. Sono cose ben disinte, insomma”.

“Io – prosegue Marcello Pera – ho l’impressione che si vada verso la felicitas, altrimenti non si capirebbe questa continua critica agli assetti statali e istituzionali, al capitalismo come origine di tutti i mali correnti. Se pensiamo all’attualità, e cioè alle decisioni riguardanti l’assoluzione del peccato d’aborto, il Pontefice fa riferimento alla costrizione della donna, quasi che alla base della decisione fatale ci fossero dei poteri attivi nel costringerla ad abortire e non la libera scelta”. Rivoluzione o no, di sicuro le priorità sono mutate, come è facile comprendere dalla predicazione di Francesco. Anche sul terreno dei cosiddetti valori non negoziabili, concetto cui il Papa guarda con perplessità – “è un’espressione che non ho mai capito, i valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile dell’altra”, ebbe a dire poco tempo dopo l’elezione – l’orientamento è mutato. E’ sufficiente ricordare quanto affermò un anno fa, parlando dinanzi alla platea dei vescovi degli Stati Uniti, invitati a non fare della croce “un vessillo di lotte mondane” e ad abbandonare antiche battaglie tipiche di una contrapposizione muscolare estranea alla pastoralità richiesta da Bergoglio.

“Ma dal punto di vista della dottrina non si possono negare i valori non negoziabili”, ribatte Pera. “Non è possibile negarne l’esistenza, se si parla su un piano meramente dottrinario. Il Papa, semmai, sposta l’accento da quelli che erano ritenuti prima i valori non negoziabili a valori che per lui sono ben più non negoziabili, e cioè valori sociali e politici. Semplicemente, mette altri valori in primo piano”. E’ logico, dunque, che vi siano resistenze a tale azione; una “resistenza uguale a quella che si concretizzò negli anni conciliari in seguito alla promulgazione della costituzione Gaudium et spes sulla chiesa nel mondo contemporaneo”. La rivoluzione riuscirà a cambiare verso alla chiesa, come si chiedeva il New York Times? “E’ difficile dirlo. Di certo, crea popolarità. Il secolarista si trova sintonizzato con questo Papa, anche perché sui media si trova per lo più una sola versione e le critiche vengono tacitate. Ho letto molto sui dubia espressi dai quattro cardinali relativamente all’esortazione Amoris laetitia, ma non ho visto pubblicati in nessun giornale questi dubia. C’è tensione, che concerne anche la dottrina e l’interpretazione della stessa. Si dice che questo Papa è attento alla pastorale e non alla dottrina, ma in realtà la dottrina la sta toccando con mano forte”. 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.