Chi lavora al dopo Francesco
Eredità, ma non solo. L’ultimo concistoro ha aperto la successione al Papa. Il Nyt conta i cardinali elettori “fedeli”. Tra vescovi che litigano su Twitter e domande pubbliche (senza risposta) a Bergoglio, il futuro è in oriente?
Roma. La corsa contro il tempo del Papa per cambiare verso alla chiesa. Il New York Times, alla vigilia del concistoro di sabato scorso, s’è domandato se Francesco riuscirà a creare un numero sufficiente di cardinali in grado di garantire che la sua visione della chiesa sarà capace di sopravvivere dopo la sua morte (o le dimissioni). Una visione che, puntualizzava il quotidiano liberal della East Coast americana, è quella che enfatizza “l’inclusione e la misericordia e che si concentra sul servizio per i poveri e gli emarginati”. E la legacy, cioè l’eredità, si conserva – almeno in teoria, visto che i precedenti non vanno tutti in questa direzione – formando un Collegio cardinalizio composto da uomini con idee simili (“like-minded cardinals”, scrive appunto il Nyt).
Oltretevere, lo si dice: al ritmo di un concistoro all’anno, il collegio cambierà volto presto, soprattutto se il profilo del porporato scelto è quello ben identificabile nella lista dei tredici elettori che Francesco ha scelto nella recente tornata: moderato tendenza liberal, nessuna concessione ai cosiddetti conservatori (neppure se pastori di diocesi enormi per numero di fedeli, come nel caso dell’ispanico anti muro José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles) e reintegro per chi da Roma era stato rispedito in patria perché bocciato (mons. Joseph William Tobin, che da segretario della congregazione per i religiosi negli anni della controversia con le suore americane aperturiste in tema di morale e dottrina, fu destinato da Benedetto XVI a Indianapolis). O, ancora, porpore conferite per marcare una discontinuità: emblematico in tal senso il caso di Bruxelles, dove la berretta è toccata a mons. Jozef De Kesel (che nel 2010 fu scartato due volte per la nomina ad arcivescovo della capitale belga, nonostante i suggerimenti di Godfried Danneels) ma non al suo predecessore, mons. André Léonard.
A oggi, Francesco ha creato 44 cardinali elettori in tre diversi concistori (e in tre anni e mezzo di pontificato). 56 sono di nomina ratzingeriana (in otto anni di permanenza sul Soglio petrino) e 21 di nomina giovanpaolina. Per essere eletti Pontefice servono i due terzi dei consensi su un plenum teorico (le assenze ci sono sempre e il Papa può sempre derogare di qualche unità al tetto fissato a suo tempo da Paolo VI) di 120 votanti con meno di ottant’anni. 32 cardinali oggi elettori perderanno il diritto di voto nei prossimi cinque anni, il che dà l’idea della portata del cambiamento in fieri. Ed è su questi numeri che tra le file dell’episcopato e del collegio si discute già, da ambo le parti. Niente di sgradevole, la successione a Giovanni Paolo II – come dimostrano i diversi gruppi creati ad hoc, dal Club di San Gallo al Sale della Terra – fu discussa e preparata per lustri, così come ben prima che la porta della Sistina si chiudesse si lavorò al dopo Benedetto XVI. E’ sull’eredità di Francesco che si battaglia, al punto che a diversi osservatori pare di rivedere quanto accaduto negli ultimi mesi del pontificato di Giovanni XXIII, quando i cardinali pronti a entrare in Conclave pensavano alla sorte del Concilio, se e come farlo proseguire, secondo quali linee e agende. Lo scenario è all’insegna della parresia più spinta, con cardinali e arcivescovi che poco usi al politicamente corretto litigano di morale e dottrina su Twitter.
Papa Francesco: Udienza Generale del Mercoledì (foto LaPresse)
Emblematico è lo scambio di battute a mezzo stampa tra il neo cardinale Kevin Farrell e il connazionale Charles Chaput su Amoris laetitia. Quest’ultimo, che tra le altre cose è l’incaricato della Conferenza episcopale americana di seguire l’applicazione dell’esortazione post sinodale, ha inviato ai fedeli della sua diocesi (Philadelphia) delle linee guida ree – secondo l’accusa di Farrell – di chiudere le porte aperte dal Papa. “Io non condivido il senso di ciò che l’arcivescovo Chaput ha fatto”, ha sottolineato Farrell, spiegando che a parlare, nell’esortazione, è direttamente “lo Spirito Santo”. L’altro neo porporato americano, Blase Cupich (Chicago), ha rincarato la dose: “Chi ha dubbi su Amoris laetitia necessita di una conversione nella propria vita”.
Il livello dello scontro è a tal punto alto che c’è chi (Raymond Burke, pure lui americano) ha ipotizzato di compiere “un atto formale di correzione” se il Papa non correggerà “il grave errore” contenuto nell’esortazione, dove si ammette la possibilità di riaccostare all’eucaristia – caso per caso – i divorziati risposati. I movimenti nella potente e “pesante” chiesa statunitense sono la cartina di tornasole dei sussulti che più ovattati avvengono oltretevere. Tre anni fa, ammise il cardinale Francis George, la pattuglia degli undici elettori americani puntò sull’allora arcivescovo di Buenos Aires. Oggi la situazione risulta più fluida e controversa, come dimostra l’elezione di un solido blocco conservatore alla guida della locale conferenza episcopale per il prossimo triennio, nonostante l’invito papale a rivedere priorità e stile di presenza nel mondo.
“Il punto è che gli sconfitti dell’ultimo Conclave ancora non si sono ripresi e vanno in ordine sparso”, confida un vescovo ben lieto della svolta inaugurata da Francesco: “L’eredità? Il processo innestato non può essere interrotto né si potrà tornare indietro. I nomi per il futuro lasciano il tempo che trovano, ora. Di certo, la dimensione europea è archiviata, almeno per questa specifica fase storica”. Ed è infatti all’oriente che guarda chi punta a proseguire lungo la strada tracciata da Bergoglio, andando a pescare in uno dei paesi più cattolici del mondo, dove il cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, “compare in molte short-list di futuri candidati al Soglio di Pietro”, ha scritto il vaticanista americano John Allen.
Ed è proprio a Tagle che il Papa ha consegnato (insieme a pochi altri) “in rappresentanza del popolo di Dio” la Lettera Misericordia et misera pubblicata al termine dell’Anno santo. “Tagle però è giovane, troppo, e la tendenza è quella di avere papi in là con gli anni. Il ricordo del quarto di secolo wojtyliano è ancora ben presente”, sottolinea un altro presule, stavolta poco propenso ad appoggiare “un vescovo i cui legami con l’Italia sono quelli stretti con la Scuola di Bologna di Alberigo e Melloni”. Alla fine, dice un cardinale di lungo corso, la frattura così palese e alla luce del sole all’interno del collegio farà pendere la bilancia verso il compromesso, magari italiano e diplomatico, tra le diverse anime.
Vangelo a portata di mano