Papa Francesco (foto LaPresse)

Il Papa spiega la sua riforma e picchia duro sulle “resistenze malevole”

Matteo Matzuzzi

Il discorso di Francesco alla curia. “Il demonio si rifugia nella forma”

Roma. La telecamera del Centro televisivo vaticano indugiava inclemente sui volti dell’“anziano corpo curiale” mentre il Papa porgeva i consueti auguri natalizi alla curia romana. Sembrava l’inizio di “The Young Pope”, con i cardinali terrorizzati nell’ascoltare il primo discorso di Pio XIII. Visti i due precedenti – anno 2014 con descrizione delle quindici malattie dell’amministrazione vaticana e anno 2015 con elenco degli antibiotici per curare il morbo – i presenti erano preparati all’atto terzo, forse non immaginando però che il pugno papale sarebbe stato tanto pesante. Francesco ha parlato mezz’ora senza risparmiare sferzate ai presenti, molti dei quali si opporrebbero al cambiamento in corso. Perché è stato questo il tema dell’intervento di Bergoglio, la riforma della curia romana che nell’ottica di Francesco “è un processo di crescita e soprattutto di conversione”. Una riforma che “non ha un fine estetico” né “può essere intesa come una sorta di lifting, di maquillage e nemmeno come un’operazione di chirurgia plastica per togliere le rughe”. Perché “non sono le rughe che nella chiesa si devono temere, ma le macchie”. Ergo, è necessario cambiare. Servono “uomini rinnovati e non semplicemente uomini nuovi”. Occorre che i membri della curia si rinnovino “spiritualmente, umanamente e professionalmente”.

 

  

Chiariamo subito, “il cambiamento delle persone senz’altro avviene e avverrà”, dice il Papa, aggiungendo però che la riforma sarà ben più profonda di un semplice valzer di poltrone per appagare ambizioni o tacitare lamentele (va anche abolito definitivamente il promoveatur ut amoveatur, “che è un cancro”, dirà poi elencando i dodici criteri che si seguiranno lungo il percorso di cambiamento). Il clou è stato il lungo passaggio sulle resistenze. Per carità, “in questo percorso risulta normale, anzi salutare, riscontrare delle difficoltà”. Il problema è valutare con che tipo di resistenza si ha a che fare. Francesco spiega: ci sono “le resistenze aperte, che nascono spesso dalla buona volontà e dal dialogo sincero”, poi vi sono “le resistenze nascoste, che nascono dai cuori impauriti o impietriti che si alimentano dalle parole vuote del gattopardismo spirituale di chi a parole si dice pronto al cambiamento ma vuole che tutto resti come prima”. E infine ci sono le resistenze malevole, “che germogliano in menti distorte e si presentano quando il demonio ispira intenzioni cattive, spesso in veste di agnelli”.

 

Qui il Papa s’è soffermato, quasi che la maggioranza degli astanti appartenesse proprio a questo terzo gruppo. “Quest’ultimo tipo di resistenza si nasconde dietro le parole giustificatrici e, in tanti casi, accusatorie, rifugiandosi nelle tradizioni, nelle apparenze, nelle formalità, nel conosciuto, oppure nel voler portare tutto sul personale senza distinguere tra l’atto, l’attore e l’azione”. Palpebre cardinalizie fin lì semichiuse si sono aperte di colpo e in qualche caso un po’ di timore s’è scorto chiaramente. La linea guida che orienterà la riforma è la “fedeltà all’essenziale”. Un processo che dovrà attuarsi “con continuo discernimento, con evangelico coraggio, con ecclesiale saggezza, con attento ascolto, con tenace azione, con positivo silenzio, con ferme decisioni, con tanta preghiera, con profonda umiltà, con chiara lungimiranza, con concreti passi in avanti”. Ma, quando risulterà necessario, “anche con passi indietro, con determinata volontà, con vivace vitalità, con responsabile potestà”. E, soprattutto, “con incondizionata obbedienza”. 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.