I numeri della persecuzione anticristiana. In 500 milioni non possono professare la loro fede
Diffuso il rapporto di Open Doors/Porte Aperte. Diminuiscono i morti, ma l'odio contro i cristiani aumenta ovunque nel mondo. Il problema asiatico, il terrore in Africa
Roma. “Nell’epoca delle immagini fa più eco un assassinio ripreso con un cellulare che un milione di persone trattate come animali. Un cristiano ogni tre subisce una grave forma di persecuzione nei cinquanta stati della nostra ricerca”, scrive Cristian Nani, direttore di Open Doors/Porte Aperte, presentando la World Watch List 2017, il rapporto che mette in fila, uno dopo l’altro, i primi cinquanta paesi dove si perseguitano più cristiani al mondo. “C’è molto di più delle morti e degli attentati alle chiese”, aggiunge Nani: “In fondo stiamo parlando di milioni di vite vessate e oppresse a causa di una scelta di fede”. Sono oltre 215 milioni i cristiani perseguitati, stando a quanto rilevato nel periodo che va dal novembre del 2015 all’ottobre del 2016. Tra i cinquanta paesi inclusi nella lista, sedici sono africani (la Somalia, con le sue divisioni tribali, è al secondo posto. La chiesa, qui, è di fatto clandestina. Le conversioni dall’islam sono punite con la morte, se scoperte).
Determinante, in tale contesto, è la radicalizzazione islamica della regione subsahariana. Ed è proprio questa la prima fonte di persecuzione, anche nell’Asia dove la principale minaccia ai cristiani è rappresentata dalla “paranoia dittatoriale” (cit.) del regime nordcoreano di Kim Jong-un, che per il quindicesimo anno consecutivo si conferma come “il peggior paese al mondo dove essere cristiani” (possedere una Bibbia comporta una pena che può andare dalla tortura alla pena di morte). A leggere il freddo bilancio dei morti (“martiri” nel documento), si potrebbe pensare a un’inversione di tendenza positiva rispetto al passato. Nel 2016, infatti, i cristiani uccisi per motivi legati alla fede sono stati 1.207; 1.329 le chiese attaccate. I dati precedenti stimavano 7.100 vittime. In realtà, la diminuzione è dovuta in primo luogo al fatto che è sempre più difficile ottenere dati completi in situazioni di conflitto civile. Stime ufficiali in Iraq e Siria, in Myanmar, Sudan e Nigeria, quando ci sono non sono attendibili. In quest’ultimo caso, poi, va rilevato come la reazione delle Forze armate nigeriane siano riuscite a limitare le operazioni di Boko Haram. Decisivo, poi, il fatto che nel vicino oriente dove migliaia di cristiani minacciati già se n’erano andati, l’avanzata dello Stato islamico sia stata fermata. Ma proprio qui “è imponente il numero di cristiani perseguitati. Di fatto – scrive Porte Aperte – pur diminuendo il numero di morti, crescono l’oppressione, gli abusi, le discriminazioni e l’emarginazione di cristiani, la gran parte dei quali sfollati e privati di tutto in stati come Nigeria, Siria e Iraq”.
Allargando la prospettiva dai cinquanta paesi esaminati dalla World Watch List al resto del globo, e contemplando non solo coloro che sono messi dinanzi alla scelta tra la conversione e la morte, i numeri sono ancora più drammatici. “Novantamila uccisi per la loro fede, un morto ogni sei minuti”, ha spiegato di recente Massimo Introvigne, direttore del Centro studi nuove religioni (Cesnur), che premette come il 70 per cento di questi sia vittima di conflitti tribali; vittime solitamente ignorata dalle grandi statistiche. “Le stime variano fra 500 e 600 milioni di cristiani che non possono professare la propria fede in modo totalmente libero”, spiegava Introvigne alla Radio Vaticana. “Senza voler dimenticare o sminuire le sofferenze dei membri delle altre religioni, i cristiani sono il gruppo religioso più perseguitato del mondo”. Un po’ ovunque, dunque, cresce l’intolleranza “e l’intolleranza è l’anticamera della discriminazione che poi a sua volta è l’anticamera della persecuzione”, chiosava il direttore del Cesnur.
La minaccia più pericolosa per l’immediato futuro è rappresentata, segnala Porte Aperte, dal nazionalismo religioso che sta infiammando in particolare il subcontinente indiano. Ed è qui che tra pochi mesi metterà piede il Papa in uno dei viaggi più attesi del pontificato.