L'Egitto ammette: "Il novanta per cento delle fatwa riguardanti i cristiani esclude ogni forma di dialogo"
L'invito al Papa è un grande gesto di coraggio di al-Azhar, dice il professor Michele Brignone, segretario scientifico della Fondazione Oasis
Roma. “L’incontro tra il Papa e il Grande imam di al Azhar sarà importante perché avverrà al Cairo, e questo implica una chiara e forte presa di posizione di Ahmed al Tayyeb rispetto al Pontefice e, più in generale, al mondo cristiano”, dice al Foglio Michele Brignone, segretario scientifico della Fondazione internazionale Oasis e docente di Lingua araba all’Università cattolica di Milano. A ogni modo, aggiunge, l’invito è “un gesto di coraggio, che porterà con sé inevitabili critiche”. Di tutti gli appuntamenti che costelleranno il programma della due giorni (28 e 29 aprile) di Francesco nella capitale egiziana – programma non ancora reso noto nei dettagli – l’incontro con la massima autorità teologica sunnita è tra i più attesi, anche se è bene “evitare certe esagerazioni.
L’anno scorso, quando al Tayyeb venne a Roma per incontrare il Papa, si disse che egli rappresentava un miliardo e mezzo di musulmani. Questo non è vero. Al Azhar ha certamente un suo seguito, ma non rappresenta tutti”, precisa Brignone, che considera sanate anche le ferite che per anni hanno reso impraticabile ogni tipo di relazione ad alto livello tra la Santa Sede e il grande centro universitario cairota. Era il gennaio del 2011, e Benedetto XVI, all’Angelus, prese posizione contro gli attentati alle chiese copte di Alessandria, scatenando la reazione del Grande imam, che parlò di interferenze da parte della chiesa di Roma negli affari interni dell’Egitto. Il lavoro di ricucitura è stato lento e complesso (un ruolo di primo piano l’ha avuto il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio consiglio per il Dialogo interreligioso), anche perché “al Azhar pretendeva passi concreti del Papa in tal senso”. Una mediazione che è culminata nell’udienza dello scorso maggio, trenta minuti di confronto cordiale “favorito anche dalla mutata situazione internazionale, che ha giocoforza costretto le parti a venirsi incontro”.
Proprio in questi giorni, la Casa della fatwa (Dar al Ifta al Misryah), organismo presieduto dal Gran Mufti d’Egitto incaricato tra le altre cose di risolvere le controversie circa l’applicazione dei precetti coranici, ha pubblicato i risultati di un ampio studio su più di cinquemila fatwa riguardanti i cristiani riprese da articoli, siti internet e social network controllati da gruppi islamisti. A darne conto è stata l’agenzia Fides. Dal monitoraggio è emerso che “almeno il novanta per cento” delle fatwa prese in esame punta a sabotare ogni possibile contatto tra musulmani e cristiani. Il cinquantaquattro per cento del campione riguarda pronunciamenti che vietano di fare gli auguri ai cristiani in occasione delle loro festività religiose. Il trentacinque per cento ha a che fare con i permessi di costruire chiese cristiane in territori popolati da maggioranze islamiche, mentre l’undici per cento è rappresentato dalle fatwa riguardanti la liceità di vendere case e beni immobili ai cristiani e di intrattenere con loro rapporti economici. Solo il dieci per cento dei pronunciamenti esaminati consente, Corano alla mano, di considerare il cristianesimo in un’ottica non di chiusura o contrapposizione.
“Nulla di nuovo”, chiarisce il professor Brignone: “C’è una proliferazione di fatwa anticristiane. L’ex mufti dell’Arabia Saudita Abdul Aziz bin Abdullah bin Baz, morto nel 1999 e influentissimo, sosteneva il divieto di porgere gli auguri ai cristiani in occasione delle loro festività. Il problema è più ampio e ha a che fare con l’autorità nell’islam, e cioè si tratta di capire chi nell’islam può pronunciarsi su questioni di diritto. Al Azhar da tempo è molto impegnato nel criticare questa miriade di fatwa”, come del resto dimostra anche la messa al bando in Egitto del materiale propagandistico islamista che diffuso nella breve stagione di Mohammed Morsi e dei Fratelli musulmani alla guida del paese. Un’opera certosina ma complicata da attuare, “se si considera che nell’islam moderno i poteri istituzionali hanno perso autorità a favore di altri soggetti, sia a causa dell’emergere del cosiddetto islam modernista sia dell’islam politico, sia dei movimenti salafiti che considerano come giusta solamente l’interpretazione letterale del testo”, dice il segretario scientifico di Oasis: “Senza contare, poi, che queste istituzioni sono considerate troppo compromesse con chi detiene il potere”.
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