Servirà equilibrismo politico nel viaggio ecumenico del Papa in Egitto
I copti nel mirino, il ruolo di Sisi, l'impegno di al Azhar
Roma. “Il Papa è molto informato e ha confermato con grande fermezza il suo viaggio in Egitto”, fa sapere padre Michael Perry, ministro generale dei Francescani che lunedì mattina è stato ricevuto in udienza dal Pontefice. Nessun cambiamento allo scarno programma che era stato diffuso pochi giorni prima del duplice attentato che domenica ha colpito le chiese copte a Tanta e Alessandria. Anzi, a maggior ragione ora si tratta di portare la propria vicinanza ai cristiani braccati e perseguitati nel vicino oriente. Marcare, insomma, quell’ecumenismo del sangue di cui tante volte Francesco ha parlato durante il pontificato. Le autorità egiziane hanno assicurato nuovamente che il Papa non correrà alcun pericolo il 28 e 29 aprile, anche perché la maggior parte degli eventi – compresa la messa conclusiva che, si stima, sarà affollata da circa trentamila fedeli – si svolgerà in ambienti chiusi e iperprotetti dall’esercito e dalle forze speciali.
Il problema, semmai, è di non rendere ancora più precarie le condizioni di sicurezza dei copti nel paese, all’indomani del viaggio del vescovo di Roma. La propaganda jihadista da settimane ha individuato nei cristiani “nativi” l’obiettivo da colpire. La motivazione – la “scusa”, direbbero le associazioni che da anni si battono per la difesa dei copti, minacciati fin dai tempi del panarabismo di Nasser – è il loro sostegno al governo di Abdel Fattah al Sisi. Nel video pubblicato lo scorso febbraio dallo Stato islamico egiziano (Misr), che rivendicava la strage di dicembre nella chiesa dei santi Pietro e Paolo al Cairo, si chiariva che i copti avevano perso lo stato di dhimmi, cioè di protetti. Il motivo? L’appoggio al governo illegittimo del tiranno Sisi.
La logica conseguenza sono le stragi, l’eliminazione fisica dei fiancheggiatori del regime. Quel che accade nel Sinai ne è una dimostrazione. Esecuzioni sommarie che costringono intere comunità a trasferirsi nelle località del delta del Nilo, cercando una salvezza che – come dimostrano gli attentati di domenica – non può essere assicurata. Quel video si apriva con le immagini di Tawadros II e Francesco, l’uno vicino all’altro. Entrambi con la croce pettorale addosso, messa ben in evidenza da chi ha montato i venti minuti di propaganda e chiamata alle armi. Andando là, il Papa di Roma in qualche modo legittima il messaggio islamista: la santa alleanza tra i cristiani che tengono in piedi il governo di Sisi. Ecco perché si rende necessario marcare una distanza dalla politica cairota, che invece ha tutto l’interesse di sbandierare come una vittoria e una ulteriore legittimazione l’omaggio (ufficialmente, visita di cortesia) che il Pontefice farà al palazzo presidenziale della capitale, diciassette anni dopo la visita di Giovanni Paolo II. Ecco perché, oggi, l’attenzione massima è riposta nella preparazione dell’incontro con Tawadros, che nel messaggio inviato lunedì per i funerali dei morti di Tanta ha scritto “che nel momento del martirio sono passati, attraverso il dolore, alla gioia gloriosa della Resurrezione”.
Ma l’attacco di domenica può essere inteso anche come un avvertimento ad al Azhar, il centro teologico che sostiene – tra alti e bassi – la necessità di una rivoluzione nell’islam richiesta ormai due anni e mezzo fa da Sisi. L’incontro tra Ahmed al Tayyeb e il Papa sarà importante perché avverrà al Cairo, “e questo implica una chiara e forte presa di posizione rispetto al Pontefice e, più in generale, al mondo cristiano”, diceva al Foglio il professor Michele Brignone, segretario scientifico della Fondazione internazionale Oasis e docente di Lingua araba all’Università cattolica di Milano. L’importante è non sopravvalutare questo momento, e non solo per certe posizioni non proprio “pacifiche” di al Tayyeb (per i responsabili del rogo del pilota giordano arso vivo dai miliziani califfali aveva invocato la crocifissione, oltre alla mutilazione), ma anche perché al Azhar – pur rilevante – non rappresenta di certo tutta la realtà sunnita. Un viaggio ecumenico che richiederà molto equilibrismo – anche politico, e non è un caso che al Cairo sia andato il cardinale Kurt Koch allo scopo di affinare i discorsi che saranno pronunciati a fine mese – per camminare su un crinale mai come ora così pericoloso.
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