Il mondo odia i cristiani
Il martirio come destino ineluttabile, la persecuzione infinita contro chi porta “un messaggio scandaloso” per la realtà di oggi. “E’ come stare nelle catacombe”
"Come potranno i nostri fratelli cristiani resistere a una manifestazione così evidente del male che, anche se in parte sconfitto, ha lasciato delle conseguenze che superano la dimensione puramente umana?”, si chiedeva il vescovo di Carpi, Francesco Cavina, mentre per l’ennesima volta in questi anni piagati dalla furia dell’orda califfale metteva piede nella piana di Ninive, dove si parla ancora l’aramaico di Gesù. Celebrando l’eucaristia nella cattedrale siro-cattolica di Qaraqosh, devastata dall’avanzata jihadista e solo da poche settimane liberata. Un piccolo altare posticcio, una croce, due candele. Tanto basta per una messa nella chiesa trasformata in un poligono di tiro dagli sgherri del califfo Abu Bakr al Baghdadi, che nella loro ritirata hanno dato fuoco agli arredi sacri, come ultimo sfregio.
“L’emozione di celebrare in questo luogo è paragonabile a quella che si prova quando si celebra nelle catacombe a Roma, luogo di sepoltura dei martiri. Qui si può toccare con mano cosa hanno dovuto patire i cristiani dell’Iraq per poter restare fedeli alla propria fede”, aggiungeva Cavina. Ed è altrettanto comprensibile, “che i cristiani si pongano il terribile interrogativo per sé e per i propri figli: ‘Che ne sarà di noi? Oggi abbiamo salva la vita, ma domani? Come sarà possibile tornare nelle nostre case, ammesso che si possano ricostruire, se non ci viene riconosciuto il diritto di vivere in pace nella nostra terra?”. Domande che tra gli sfollati della piana di Ninive, cacciati dalle loro case con il marchio di nazareno, circolano quotidianamente. La sistemazione provvisoria in Kurdistan va bene, l’accoglienza è ottima, tende e container bastano per ora a far fronte all’emergenza che ormai è divenuta normalità. Ma le cicatrici lasciate da quel male così evidente resteranno. Si rischia però di limitare il problema al contingente, declinando la conta dei nuovi martiri su uno sfondo meramente geopolitico. “Io credo che il motivo della persecuzione vada ricercato nel fatto che, in un mondo come il nostro che tenta di imporre in tante modalità un pensiero unico, i cristiani con tutte le loro incoerenze rappresentano una originalità che diventa insopportabile”, dice al Foglio mons. Francesco Cavina. “Mi ha colpito che nel breviario di ieri ci fosse un’antifona che recita ‘Dissero gli empi: opprimiamo il giusto. Egli è contro le nostre opere’. Questa preghiera, secondo me, spiega molto della persecuzione contro i cristiani. Il mondo non accetta le nostre opere, il nostro è un messaggio che va contro il pensiero dominante. Penso – aggiunge il vescovo di Carpi – che la Lettera a Diogneto sia di grande attualità, perché chiarisce il modo di rapportarsi del mondo nei confronti dei cristiani. Essi fanno del bene, hanno figli e non ripudiano i loro bambini. Amano tutti però vengono da tutti perseguitati. Proprio perché il loro modo di vivere, il messaggio che propongono va contro questo pensiero unico che si esprime in tante forme”.
Celebrare la messa nella cattedrale distrutta di Qaraqosh, nella piana di Ninive, in Iraq. Bastano un altare e una croce
Padre Pierbattista Pizzaballa, quand’era ancora custode di Terra Santa, diceva a questo giornale che tornare alla convivenza d’un tempo, quando musulmani e cristiani erano pacifici vicini di casa, sarà difficile, per non dire impossibile. “Ci vorranno molto tempo e diverse generazioni per recuperare il tipo di coesistenza precedente la guerra”, spiegava. “Io sono convinto che si debba dialogare, sia perché senza dialogo siamo finiti sia perché il dialogo è incontro con l’altro e parte integrante della mia vita di fede. Ma deve essere fatto nella verità. Non so – aggiungeva il frate francescano – se si possa dialogare tra le fedi. Io penso di no. Però si può dialogare tra credenti e condividere le esperienze di fede. Questo si deve fare. Non posso credere che vi sia un miliardo e mezzo di persone con le quali non posso entrare in relazione. E’ una aberrazione pensare questo. Dobbiamo farlo, ma nel rispetto reciproco, nella verità. Su questo non si può transigere”.
Il martirologio s’aggiorna di giorno in giorno, i numeri sono quelli roboanti che gli istituti specializzati e i centri di ricerca internazionali periodicamente elencano: un cristiano ucciso ogni sei minuti nel 2016, cinquecento milioni i fedeli a Cristo perseguitati per la loro fede alle più varie latitudini del pianeta. Persecuzioni con la spada o in guanti bianchi, come va di moda nell’occidente pronto a rinnegare l’elemento religioso, nell’illusione ormai pluridecennale che così l’irenismo possa trionfare senza troppi ostacoli. Cambia il mezzo, non il fine ultimo, che è quello di annichilire intere comunità, fino a portarle all’estinzione. “Non c’è cristianesimo senza martirio”, diceva il Pontefice in una delle omelie pronunciate nella piccola cappella di Santa Marta, non troppo tempo fa. In Egitto lo sanno bene. Domenica scorsa, la domenica delle palme, Tawadros II, il Papa copto, vagava con lo sguardo perso tra i cadaveri che chiudevano l’ingresso della cattedrale di San Marco, divenuta una sorta d’ospedale da campo per accogliere i superstiti dell’attentato che chirurgicamente ha colpito i cristiani mentre erano riuniti per celebrare l’inizio della Settimana Santa, che per i copti (i “nativi”) è la processione della croce gloriosa. Bombe umane ad Alessandria e a Tanta, seguendo sempre lo stesso schema: massacrare più infedeli possibile, nei loro luoghi sacri, nei giorni di festa. Il giorno dopo, a neppure ventiquattr’ore di distanza, i funerali solenni e la certezza che quelle decine di morti “sono passati dal dolore del martirio alla gloria della Resurrezione”.
La situazione in Nigeria, dove "i terroristi entrano casa per casa e uccidono chi trovano dentro. La nostra arma? Il Rosario"
Un refrain triste: a dicembre l’attentato nella chiesa cairota dei Santi Pietro e Paolo, e ancor prima, qualche anno fa, le bombe negli edifici di culto ad Alessandria. Senza dimenticare lo sgozzamento teatrale di ventuno operai copti sul lungomare libico, con il sangue diluito nelle scure acque del Mediterraneo. Monito agli infedeli africani e a quelli europei, dall’altra parte del mare. Non faranno festa, a Pasqua, i copti. Domenica, mentre il Gloria tornerà a essere cantato dopo il silenzio quaresimale, in Egitto le chiese si apriranno per un momento di raccoglimento e preghiera. Nulla di più. E’ la consapevolezza che il destino è questo, quasi segnato. Ashraf Ramelah, presidente dell’ong Voice of the Copts, dopo ogni attentato ripete la medesima, stanca frase: “Niente di nuovo, è sempre la solita cosa. Ci siamo abituati”. Il Papa di Roma, dopotutto, l’ha detto tante volte: i cristiani, oggi, sono perseguitati più che nei primi secoli, “i martiri sono quelli che portano avanti la chiesa, sono quelli che sostengono la chiesa, che l’hanno sostenuta e la sostengono oggi. E oggi ce ne sono più dei primi secoli. I media non lo dicono perché non fa notizia, ma tanti cristiani nel mondo oggi sono beati perché perseguitati, insultati, carcerati. Ce ne sono tanti in carcere, soltanto per portare una croce o per confessare Gesù Cristo”, diceva Francesco. “Questa è la gloria della Chiesa e il nostro sostegno e anche la nostra umiliazione: noi che abbiamo tutto, tutto sembra facile per noi e se ci manca qualcosa ci lamentiamo. Ma pensiamo a questi fratelli e sorelle che oggi, in numero più grande dei primi secoli, soffrono il martirio!”. Capire perché, oggi, i cristiani siano così perseguitati, è questione non semplice e le dotte spiegazioni accademiche spesso non bastano a soddisfare le domande. Certo, “alcune volte i cristiani sono utilizzati come trofeo in una guerra tra gruppi islamici”, diceva alla Radio Vaticana il giornalista Nello Scavo, autore di Perseguitati (Piemme): “Ci sono delle realtà nelle quali fazioni sciite e fazioni sunnite si contendono spazi di potere e la corsa a dimostrare di essere più forti viene svolta uccidendo cristiani; quindi ‘più cristiani uccido, più dimostro di essere forte’”.
"Non c'è cristianesimo senza martirio. Questa è la gloria della Chiesa e anche la nostra umiliazione", diceva il Papa
Alla fine, si torna indietro di duemila anni, alla radice di tutto: “Il fatto è che il messaggio cristiano – come del resto la predicazione di Gesù al suo tempo – è scandaloso. Gli ebrei di allora fa arrivarono a dire che Gesù stava bestemmiando. Oggi quel messaggio è altrettanto rifiutato; un rifiuto che è pienamente umano. L’uomo non lo accetta perché si sta snaturando nella sua umanità. Di conseguenza, dice Cavina, diventa difficile accettare un messaggio che è fatto per l’uomo. E noi sappiamo che questo accade quando la società entra in una fase di crisi dal punto di vista degli ideali e della morale”.
Un rifiuto che è ben visibile proprio nella realtà egiziana, scriveva martedì su Avvenire l’egiziano Wael Farouq, docente all’Università Cattolica di Milano: “La domenica delle Palme è un giorno speciale per i bambini. Le madri, una volta, si divertivano a creare simboli e giocattoli con foglie di palma. Noi, bambini musulmani, ricevevamo corone, stelle e spade fatte con queste foglie, mentre i bambini cristiani portavano le croci. Li accompagnavamo in corteo fino alle porte della chiesa. Loro entravano per la messa e noi ricevevamo qualche dolce. Poi, in attesa che uscissero, proteggevamo la chiesa da nemici e dèmoni invisibili con le nostre spade”.
Poi, tutto è cambiato. “Alla fine degli anni Settanta del Novecento, il presidente Anwar el Sadat ha aperto lo spazio pubblico agli islamisti e milioni di egiziani sono emigrati verso i paesi del Golfo, verso società uniformi che non conoscevano il pluralismo religioso e non lo accettavano. E’ stato l’inizio della propaganda d’odio contro i cristiani in generale e quelli egiziani in particolare”. Le conseguenze sono visibili oggi, con “il cristianesimo” che “rischia di non essere più presente nella terra in cui è nata la fede di Cristo”, osservava poco meno d’un anno fa il cardinale Jean-Louis Tauran, diplomatico e attuale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso: “Nel 1910, il venti per cento della popolazione mediorientale era cristiana; ora è meno del quattro. Evidentemente, c’è un piano d’azione per cancellare il cristianesimo dal medio oriente e questo può chiamarsi o quantomeno richiamare il genocidio”.
"Il nostro è un messaggio che va contro il pensiero dominante. L'uomo non è più in grado di accettarlo", osserva mons. Cavina
Di sicuro lo chiamano così in Nigeria, enorme paese africano dove la persecuzione va avanti da anni. Cambiano i governi, gli organismi internazionali assicurano che faranno di tutto per stroncare Boko Haram, i minuti di raccoglimento si ripetono con cadenza regolare. Ma i morti continuano ad accumularsi: bombe, umane o piazzate in qualche auto. Spesso i fondamentalisti usano i bambini, mandati in un mercato con una cintura esplosiva ben stretta in vita. L’anno scorso, Open Doors presentò un rapporto dettagliato, “Crushed but not defeated”. La constatazione era drammatica: “La presenza cristiana in alcune aree della Nigeria è stata virtualmente cancellata”. Boko Haram c’entra, ma non è l’unico gruppo a colpire i cristiani: “Anche allevatori musulmani Hausa-Fulani e l’élite musulmana politica e religiosa del nord sono attori principali della violenza che mira a colpire la minoranza cristiana”. Non a caso, Philip Jenkins, tra i massimi esperti di cristianesimo a livello mondiale, ripete da anni che “in Nigeria si gioca l’equilibrio fra islam e cristianesimo”. Il vescovo cattolico di Nomadi, Hyacinth Egbebo, era ancora più drastico: “Se cade la Nigeria, tutta l’Africa sarà a rischio”. E si parla del continente dove il cristianesimo è in costante e forte crescita, come dimostrano le statistiche e, da ultimo, l’Annuario pontificio. “Entrano casa per casa e uccidono chi trovano”, diceva mons. Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, che a domanda su quale fosse l’unica arma a disposizione dei cristiani per resistere e combattere i presecutori aveva risposto: “Il Rosario”.
Il fatto è che dal Pakistan (con le periodiche stragi in luoghi di culto e perfino in un parco pubblico, come l’anno scorso a Lahore, nel giorno di Pasqua) al vicino e medio oriente, dall’Asia orientale all’Africa più profonda, i cristiani sono le vittime designate, l’agnello da sacrificare sull’altare dell’ideologia fondamentalista. Vittime perché senza patria, enclave sociale, storica e religiosa che secoli di crociate e calate barbariche hanno comunque fatto sopravvivere. Ora, con “la terza guerra mondiale a pezzi”, il destino pare segnato. Come quello dei copti in Egitto. Alla fine, conta quel che misero per iscritto i patriarchi cattolici d’oriente, che si riunirono in Libano nel settembre di ormai quattro anni fa: “Se il mondo perde il Vangelo, conoscerà una situazione di distruzione, come quella che noi viviamo oggi”.
Vangelo a portata di mano