Francesco d'Egitto
Da oggi il Papa in visita al Cairo. “L’islamismo ha da tempo minato la convivenza”. Parla Wael Farouq
Roma. La premessa che Wael Farouq, egiziano musulmano e docente all’Università Cattolica di Milano, fa conversando con il Foglio alla vigilia della partenza del Papa per l’Egitto (ritorno a Roma nella serata di sabato) è che “questo è innanzitutto un viaggio per incontrare le chiese della memoria, oggi separate”. Solo dopo viene, in ordine d’importanza, l’incontro pur atteso con Ahmed al Tayyeb, il grande imam di al Azhar, il principale centro universitario sunnita del mondo arabo. “In occidente si sottolinea ben poco che per la prima volta dopo mille anni, dai tempi dello scisma, si troveranno insieme il Patriarca di Alessandria, quello di Costantinopoli e il Papa di Roma. E’ un fatto importantissimo, determinante. Che non se ne parli, addolora: significa che si è persa la memoria”. Francesco, poi, va in Egitto anche per i cattolici, minoranza tra le minoranze, “a incontrare il suo popolo nel momento della grave difficoltà. E questo, dopotutto, è il primo dovere della chiesa”, osserva Farouq, che non può fare a meno di rilevare il “cambiamento ideologico” che ha portato oggi i cristiani a essere i nemici nella loro patria.
“E’ iniziato tutto con la fine dell’èra di Nasser, socialista a modo suo, e l’arrivo al potere di Sadat. Quest’ultimo ha aperto il paese al mondo occidentale e anche all’alleanza con l’Arabia Saudita. Ha favorito, insomma, l’espandersi dell’ideologia islamista nello spazio pubblico. Si pensi alla propaganda che va avanti da quarant’anni, con i combattenti mandati in Afghanistan a sfidare i sovietici. Pensiamo – aggiunge Farouq – alle due pagine che il New York Times dedicò allora al giovane Osama bin Laden, presentato come una sorta di Guevara dell’islam. Il problema è che il punto essenziale di questa ideologia è l’eliminazione dell’altro, del più vicino. E i più vicini, in Egitto, sono i copti. Sono decenni che i governi hanno chiuso gli occhi su questo, sulla cattiva propaganda contro i cristiani, contro i quali oramai si sono accumulati tanti pregiudizi”. Va a questo punto fatta una precisazione, che aiuta a spiegare la dinamica degli eventi nel più popoloso paese arabo del mondo: “E’ vero che i cristiani sono perseguitati per la loro fede, ma prima di tutto l’islamismo vuole combattere la convivenza, il cui segno più grande è stata la partecipazione – per la prima volta in duemila anni di storia – del presidente egiziano alla messa di Natale. Non dobbiamo dimenticare – spiega il docente di Lingua araba alla Cattolica – che ogni giorno nelle moschee irachene vengono uccisi tanti musulmani, ma il cosiddetto Stato islamico ha capito bene la lezione: solo colpendo le chiese potrà godere della copertura mediatica necessaria per essere presente nella realtà”.
“Non è un paese islamico”
E’ bene sottolineare, dice Wael Farouq, “quanto sia sbagliato sostenere che la visita del Papa in Egitto sarà una visita in un paese islamico. No, l’Egitto è un paese islamico e cristiano, con i cristiani che ci abitavano ben prima dei musulmani. Dire che è solo un paese islamico significa fare il gioco degli islamisti”. Purtroppo, aggiunge, “ci dimentichiamo che esiste anche un Egitto ‘della storia’, che è quell’Egitto che accolse la Sacra famiglia. E’ l’Egitto che nella storia della spiritualità umana ha rivestito e riveste un ruolo centrale. E’ questo il paese che Francesco va a incontrare, a guardare questa ‘memoria’ presente che non ha eguali nel vicino e medio oriente”. Benché non sia il fulcro della spedizione del Pontefice sulle rive del Nilo, l’incontro con il Grande imam di al Azhar è atteso, se non altro perché – diceva a questo giornale qualche tempo fa il prof. Michele Brignone, segretario generale della Fondazione Oasis – corrisponde a una “forte presa di posizione di quell’istituzione nei confronti del mondo cristiano”.
Ahmed al Tayyeb, il Grande imam, più volte ha confermato l’intenzione di avviare quella riforma del discorso islamico richiesta dal presidente Abdel Fattah al Sisi in persona. Aggiornare il discorso islamico per spogliarlo degli elementi che portano a esaltarne la matrice fondamentalista. Ma lo stesso al Tayyeb è colui che invocò la crocifissione e la mutilazione per i responsabili del rogo del pilota giordano catturato mentre combatteva contro il Califfato. Quant’è credibile l’intenzione del Grande imam? “E’ una questione complessa”, dice Wael Farouq: “L’imam di al Azhar è il capo di un’istituzione che conta due milioni tra studenti, studiosi e imam. La credibilità di una persona va cercata guardando quella persona nel suo contesto reale. Significa avere occhi aperti sulla realtà. E la realtà, in questo caso, ci dice che l’Università di al Azhar è stata negli ultimi trent’anni la meta degli studenti più poveri, quelli cioè che non continuano i loro studi nelle scuole ‘normali’. Questo fattore ha determinato – all’interno di quel centro culturale – il prevalere di una maggioranza di persone che possono tranquillamente e facilmente accettare il wahhabismo, il salafismo, l’islamismo. Ecco perché è importante tenere sempre presente questo quando ascoltiamo i discorsi di al Tayyeb, che ha anche un’ulteriore difficoltà: Sisi vorrebbe una riforma veloce, in tempi brevi. Ma il Grande imam, considerata la realtà che sovrintende, non può accontentarlo”. Qualcosa però potrebbe muoversi proprio durante la presenza di Francesco al Cairo, se è vero che – come ha riferito all’agenzia Fides il vescovo copto cattolico di Assiut, Anba Samaan – “la Conferenza internazionale per la pace di al Azhar diffonderà una dichiarazione sul cosiddetto rinnovamento del discorso religioso”. “Invito a non allontanarsi dalla realtà”, chiede Farouq: “Facendolo, si parla solo di stereotipi e pregiudizi, che possono essere positivi o negativi ma sempre pregiudizi rimangono. Allo stesso modo, però, è utile non fidarsi troppo neppure dei buonisti”.
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