La manovra tutta egiziana che sta indebolendo il Grande imam di al Azhar
Perché il viaggio del Papa ha reso più complicato il ruolo delicato di al Tayyeb, stretto in una morsa tra il presidente al Sisi e i settori religiosi legati alla Fratellanza musulmana
Roma. A rischiare di più, dalla due giorni papale in Egitto, sarebbe stato il Grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb. Almeno così sostenevano analisti esperti di faccende mediorientali all’indomani dell’annuncio del programma che Francesco avrebbe osservato al Cairo. Troppo delicato il ruolo di al Tayyeb, stretto in una morsa che vede da una parte il presidente Abdel Fattah al Sisi e dall’altra i settori religiosi legati alla Fratellanza musulmana. Il primo a pretendere l’attuazione immediata della “rivoluzione nell’islam” messa tra i punti cardine del programma di governo, sì da mostrare un’immagine nuova e “pulita” del paese scosso dall’avanzata fondamentalista. I secondi decisi a contrastare ogni svolta in senso liberale del credo islamico. Al Tayyeb si trova in mezzo, a capo di un’istituzione che conta due milioni tra studenti, studiosi e imam.
“Negli ultimi trent’anni l’università di al Azhar è stata la meta degli studenti più poveri” e “questo fattore ha determinato il prevalere di una maggioranza di persone che possono accettare facilmente il wahhabismo, il salafismo e l’islamismo”, diceva al Foglio il prof. Wael Farouq, egiziano musulmano e docente all’Università Cattolica di Milano. Qualunque parola del Grande imam, quindi, si sarebbe prestata a strumentalizzazioni, da una parte e dell’altra. Tra coloro che più hanno contestato il discorso – non privo di ombre, compreso l’attacco agli ebrei “occupanti” – c’è Islam Béheiri, intellettuale musulmano da poco uscito di prigione, dove era stato spedito per aver criticato proprio al Azhar. In un’intervista ad AsiaNews, il portale del Pontificio istituto missioni estere, ha definito “senza senso” le parole espresse da al Tayyeb nel corso dell’incontro con il Papa, in particolare quando ha sostenuto che non vi sono giustificazioni logiche alla violenza se non l’ideologia postmoderna e il desiderio di alcune potenze di vendere armi. “Se così fosse – ha detto Béheiri – lo Stato islamico avrebbe promosso il pensiero postmoderno. Questa non è nemmeno una possibilità. E’ come se qualcuno ci dicesse che durante il giorno, il sole non brilla affatto”. Ma c’è di più, e a essere contestati sono i passaggi sul “traffico delle armi” come causa prioritaria dell’avanzata terrorista: “Se egli crede che il terrorismo sia dovuto unicamente al traffico di armi, ci troviamo davvero di fronte a un problema grave: la persona chiamata a combattere per prima il terrorismo religioso non conosce nemmeno le cause della sua esistenza”.
Il punto è un altro, aggiunge l’intellettuale: “Vi sono testi nella nostra giurisprudenza classica che incitano alla violenza. Vediamo persone che si fanno saltare in aria uccidendo decine di persone perché hanno letto testi che danno loro carta bianca per uccidere chiunque, per la semplice ragione che possiedono una fede incrollabile in base alla quale fanno del bene verso Dio immolandosi e uccidendo molte altre persone insieme a loro”. Insomma, “qui non si tratta solo di traffico di armi”. Béheiri sposa la posizione di Sisi, per una riforma del discorso religioso: “Io chiedo ad al Azhar di smetterla di mostrare al mondo libri scritti da certi imam del medio evo, che esso commercializza come fossero il retaggio del vero islam. Perché quanto è contenuto in questi libri è quanto, alla lettera e fino all’ultima virgola, quanto compie all’atto pratico Daesh”.
Ma nel discorso pronunciato dal Grande imam dinanzi al Papa c’era anche il riferimento alle Crociate, testimonianza del fatto che le guerre di religione sono sempre esistite in tutte le fedi. Sbagliato, dice Béheiri, visto che “si trattava di ragioni esclusivamente politiche”. Neppure l’altro esempio fatto da al Tayyeb, le guerre mondiali come “guerre di religione”, ha senso: “Non vi era alcuna dimensione religiosa nelle guerre mondiali”.
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