Ma quale post religione, in Francia vanno forte i "giovani bigotti"
Qualcosa è cambiato nella patria della laïcité. Tra i giovani dai 18 ai 29 anni i credenti sono al 53 per cento. Solo nove anni fa, erano il 34
Roma. Giovani bigotti che rivendicano la propria fede. Con orgoglio, s’intende. Il Monde è forse un po’ sprezzante nel descrivere il ritorno al religioso nella Francia dove a essere sacra, negli ultimi decenni, era la laïcité. Qualcosa è cambiato. Lo dicono gli indicatori numerici, elaborazioni di statistiche autorevoli, e – soprattutto – le masse di giovani che non si fanno scrupoli a esibire simboli della propria fede, che frequentano le chiese e vanno in pellegrinaggio. Sia chiaro, si tratta sempre di una minoranza (creativa), i giovani che si definiscono credenti sono sempre al di sotto del cinquanta per cento della popolazione, ma tra i giovanissimi (dai 18 ai 29 anni) i credenti salgono al 53 per cento. Solo nove anni fa, erano il 34. Aggiunta necessaria: non sono solo musulmani, visto che il 42 per cento dei “credenti” è cattolico. Un bel cambiamento di rotta, se si considera che alla fine del secolo scorso il cristianesimo era dato per agonizzante nella terra delle cattedrali. Era la “grande stagione della post religione”, ricorda il Monde: “Tutti i sondaggi e le inchieste affermavano che le chiese sono vuote, i giovani non credono più e i genitori non trasmettono (o lo fanno molto poco) ai propri figli il patrimonio religioso. Si diceva che il buddismo e le filosofie New Age stavano sostituendo il monoteismo occidentale”. Insomma, all’alba del nuovo millennio si guardava con timore alla profezia apocrifa di André Malraux, secondo cui “il Ventunesimo secolo sarà spirituale o non sarà”.
Vent’anni dopo l’infausto oracolo, nota il quotidiano progressista francese, siamo “all’ostentazione” della propria fede. “Aiuto, sta tornando Gesù!”, titolava Libération lo scorso novembre. In tv i politici esibivano croci al collo. Durante la campagna per le presidenziali, più d’un candidato ha parlato di fede e della propria educazione cristiana. “Nei dibattiti – nota il Monde – è stato perfino invocato il riesame della legge del 1905 sulla separazione tra chiesa e stato”. Senza contare, negli ultimi scampoli di campagna, le visite nelle cattedrali (pure a Reims, dove si ungevano i sovrani). “In un paese dove il non essere affiliato ad alcuna religione è fin troppo banale, il fatto d’essere credenti o di rivendicare una dimensione religiosa, significa essere non conformisti. Dio non è più relegato alla sfera privata”, sottolinea l’inchiesta del quotidiano parigino. E non si tratta solo di scendere in strada, brandendo vessilli crociati per riconquistare uno spazio pubblico annichilito prima dalla rivoluzione antropologica, quindi da quella sociale, storica e politica. Insomma, c’è di più oltre la battaglia contro il mariage pour tous. I giovani d’oggi, quelli che leggono la pagina Facebook dell’abbé Grosjean e che considerano l’esasperazione laicista alla stregua di un ufo, d’un oggetto non identificato e che organizzano veglie di preghiera notturna in qualche santuario del paese, sono prive delle sovrastrutture sociologiche che hanno dominato le generazioni precedenti, cresciute a pane e laicità esasperata, riducendo l’essere credente a qualcosa di personale e la partecipazione ai riti una sorta di hobby pari al bridge o al cinema d’essai. “Il rapporto dei giovani con la religione manifesta un cambiamento di paradigma tra la religione e la modernità”, ha detto il sociologo delle religioni Jean-Paul Willaime, aggiungendo che “più modernità non significa meno religione”. Anzi, “nella religione si cerca una dimensione rilevante della propria personalità, il modo di stare in una società che non è più così carica di significato”. I giovani di oggi, “rispetto alla generazione degli anni Sessanta – prosegue Willaime – che sono stati ‘socializzati religiosamente’, non hanno un atteggiamento di rifiuto della religione. Non hanno un’educazione contro cui ribellarsi. La fede li affascina, pone domande. E se i giovani sono più religiosi, sono più impegnati, più visibili, più coerenti”. In sostanza, rivendicando la propria appartenenza religiosa, “rivendicano la loro libertà personale”.