"Il chavismo fallito ha trasformato il Venezuela in una dittatura militare"
La chiesa davanti a Maduro. Parla il capo dei vescovi di Caracas
Roma. “La situazione in cui versa il Venezuela è gravissima, in tutti i sensi. Sia dal punto di vista sociale, sia da quello politico e anche da quello spirituale”, dice al Foglio mons. Diego Rafael Padrón Sánchez, vescovo di Cumaná e presidente della Conferenza episcopale del paese latinoamericano. E’ stato lui, giovedì, a guidare la delegazione del Consiglio di presidenza dei vescovi venezuelani dal Papa. Cinquanta minuti di udienza a porte chiuse. I sei presuli – che avevano chiesto l’incontro, tra cui i cardinali Jorge Liberato Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, e Baltazar Enrique Porras Cardozo, di Mérida – da una parte, Francesco dall’altra. Per fare il punto sulla crisi che da politica è ormai divenuta umanitaria, con i supermercati a corto di merci, le farmacie vuote e i morti nelle strade. “La popolazione è sempre più povera, è messa ai margini, non c’è rispetto per i diritti umani. Il sentimento che domina è la tristezza, la depressione”, aggiunge mons. Padrón, che non si trincera dietro il lessico proprio della diplomazia per definire quanto sta accadendo a Caracas: “In Venezuela c’è una dittatura, si è riaffermata una dittatura militare. E questo perché il governo sostiene le Forze armate, altrimenti non avrebbe più l’appoggio necessario per fare ciò che sta facendo né avrebbe l’autorità morale per chiedere un nuovo sacrificio al popolo. Il fatto è che il governo trova sempre il modo di sottomettere la popolazione. Questa – dice il presidente della Conferenza episcopale – è una dittatura militare con le caratteristiche proprie del marxismo e del comunismo”. Dietro, causa primaria di tutto quanto sta avvenendo nel paese, “c’è il fallimento totale del modello chavista, ormai comprovato da parecchie esperienze. Un modello che non ha saputo in passato e non sa nemmeno ora dare risposte alla gente”. Il governo del presidente Nicolás Maduro e le opposizioni non riescono a sedersi attorno a un tavolo, ogni tentativo di dialogo è risultato vano, e questo “perché non c’è fiducia reciproca. Per avviare un negoziato bisogna prima di tutto riconoscersi a vicenda, e questo finora è risultato impossibile”.
In mezzo, la chiesa. Nei mesi scorsi si è parlato di una distanza tra la Santa Sede e i vescovi venezuelani, la prima prudente e i secondi più decisi a contrastare le misure forti del successore di Hugo Chávez. E’ una lettura che non ha fondamento: “La propaganda del governo cerca di dividere la chiesa al suo interno. E’ una strategia chiara per mostrare che noi non abbiamo autorità. Niente di nuovo, è il solito modus operandi comunista, già visto a Cuba”, sottolinea mons. Padrón, che però non vuole accodarsi a chi parla di chiesa perseguitata, nonostante le irruzioni negli edifici di culto, comprese le cattedrali: “Non possiamo dire che c’è una persecuzione contro la chiesa in Venezuela, ma ci sono evidenti difficoltà. Il governo dice di voler promuovere la pace, sostiene di rispettare la chiesa, ma in realtà non lo fa”. Arduo, in questo contesto, anche favorire una facilitazione di Roma tra le parti. Di certo, nessuna volontà da parte dei vescovi di siglare o trattare qualche forma di appeasement con le autorità: “Noi non cerchiamo confronti con il governo. Noi diciamo ciò che ci sembra più opportuno, e cioè denunciamo ciò che è ingiusto. Siamo pronti a dire la verità nel senso più ampio”.
Quel che è evidente, è che Maduro e il suo entourage hanno messo nel mirino la chiesa cattolica dopo la lettera che lo scorso dicembre il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, aveva inviato alle parti in contesa mettendo per iscritto a quali condizioni la Santa Sede avrebbe potuto svolgere un ruolo di facilitazione (e non di mediazione) per la risoluzione pacifica della crisi. Il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, attaccò subito Parolin, che la realtà venezuelana la conosce bene fin da quando era nunzio nel paese, definendo un’indebita ingerenza quel documento. “La lettera del cardinale Parolin è una magna carta della democrazia”, dice al Foglio mons. Padrón. “Quel testo riassume le condizioni per sviluppare un dialogo tra il governo e le opposizioni. Lo fa in quattro aspetti. Innanzitutto, chiede la libertà dei detenuti politici, quindi invoca l’apertura di un canale umanitario. In terzo luogo, sottolinea l’esigenza di rispettare l’autorità dell’Assemblea nazionale e infine punta alla ricerca di un percorso elettorale. Il governo non solo non ha dato alcuna risposta – dice il presidente della Conferenza episcopale – ma ha messo in campo una repressione violenta, feroce. E’ sufficiente guardare quanto è accaduto negli ultimi due mesi. Settantadue morti, giovani vite lasciate sul terreno. Gente ammazzata ogni giorno, almeno uno o due ogni ventiquattro ore. E’ drammatico”. Il Papa lo sa, dice mons. Padrón, “è stato informato della situazione in modo oggettivo. Ora noi speriamo che arrivi un aiuto internazionale, anche del Pontefice, sue iniziative sono possibili anche se non siamo in grado di dire né quando né in che forma”. “Noi – chiosa – non possiamo fidarci delle parole del governo, finora non ha fatto nulla, respingendo ogni richiesta di mediazione”.
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