"Obbedite o sarete sospesi". Il pugno duro del Papa contro la chiesa ribelle
La questione etnica che divide la diocesi di Ahiara, in Nigeria
Roma. “Chi si è opposto alla presa di possesso del vescovo mons. Okpaleke vuole distruggere la chiesa; ciò non è permesso; forse non se ne accorge, ma la chiesa sta soffrendo e il popolo di Dio in essa. Il Papa non può essere indifferente”. E’ uno dei passaggi del breve messaggio che Francesco ha letto, la scorsa settimana, alla delegazione di presuli giunti in Vaticano da Ahiara, diocesi nigeriana che da cinque anni è senza vescovo. O meglio, un vescovo ce l’avrebbe pure (mons. Peter Okpaleke, appunto), ma questi è impossibilitato da cinque anni – fu nominato da Benedetto XVI nel 2012 – a prendere possesso della diocesi. Impedito dal muro eretto da sacerdoti e laici in quanto appartenente all’etnia Ibo (prevalente nel vicino stato di Ambra) e non a quella Mbaise, invece maggioritaria ad Ahiara, cui apparteneva il predecessore di Okpaleke, mons. Victor Chikwe. “La chiesa, infatti – ha detto il Papa – è come in stato di vedovanza per aver impedito al vescovo di andarvi. Tante volte mi è venuta in mente la parabola dei vignaioli assassini, di cui parla il Vangelo, che vogliono appropriarsi dell’eredità. In questa situazione la diocesi di Ahiara è come senza sposo, e ha perso la sua fecondità e non può dare frutto”. Bergoglio ha detto di aver meditato “sull’idea di sopprimere la diocesi; ma poi – ha aggiunto – ho pensato che la chiesa è madre e non può lasciare tanti figli come voi. Ho un grande dolore verso questi sacerdoti che sono manipolati, forse anche dall’estero e da fuori diocesi”. Non una assoluta novità, dal momento che più volte nel corso della storia anche recente – e sempre nel continente africano, realtà assai complessa e troppo spesso banalmente identificata come un unicum che non tiene conto delle singole peculiarità che la contraddistinguono – più di un presule nominato da Roma ha avuto difficoltà a insediarsi nella sede stabilita, proprio a causa di tensioni etniche e tribali che poco hanno a che fare con il messaggio cristiano.
Ma qualcosa nel caso specifico di Ahiara andava fatto, e il Papa ha deciso di usare il pugno duro contro quello che ritiene “un peccato mortale”, come si comprende scorrendo il testo del comunicato diffuso sabato dalla Sala stampa della Santa Sede: “Chiedo – sono sempre parole di Francesco –che ogni sacerdote o ecclesiastico incardinato nella diocesi di Ahiara, sia residente, sia che lavori altrove, anche all’estero, scriva una lettera a me indirizzata in cui domanda perdono; tutti, devono scrivere singolarmente e personalmente; tutti dobbiamo avere questo comune dolore”. Nella missiva, che dovrà essere “spedita entro trenta giorni”, sacerdoti ed eccelsiastici di Ahiara saranno chiamati a mettere nero su bianco e in maniera chiara “totale obbedienza al Papa”. In secondo luogo, “chi scrive deve essere disposto ad accettare il vescovo che il Papa invia e il vescovo nominato”. Chi non lo farà nei termini e tempi stabiliti, ha aggiunto Bergoglio, “ipso facto viene sospeso a divinis e decade dal suo ufficio”.
A giudizio del Papa, che ben conosce le vicende della diocesi ed era già stato ragguagliato in merito sia dal vescovo titolare Okpaleke sia dall’amministratore apostolico nominato nel 2013, il cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, “ qui non si tratta di un caso di tribalismo, ma di appropriazione della vigna del Signore”. Ecco perché il provvedimento adottato “sembra molto duro”, ma si è reso necessario “perché il Popolo di Dio è scandalizzato” e “Gesù ricorda che chi scandalizza, deve portarne le conseguenze”.
Una volta che la vicenda si sarà conclusa, e cioè entro breve tempo secondo i desiderata vaticani (la tempistica dell’invio della lettera con richiesta di perdono e promessa d’obbedienza è chiara), la diocesi “accompagnata dal suo vescovo” si recherà a Roma in pellegrinaggio. A quel punto, sarà ricevuta Francesco.