Neanche il Papa può mettere ordine e pace nelle dispute su don Milani

Matteo Matzuzzi

Francesco oggi omaggia don Mazzolari e il prete di Barbiana. Non va per riabilitarli, ma per testimoniare con la sua presenza che il loro messaggio alla chiesa di oggi può dire molto

Roma. “Don Lorenzo Milani è santo e il santo non è colui che ha meno difetti di tutti o che moralmente ha il profilo più alto di tutti. Questa è una concezione della santità un po’ superata”, dice alla tv dei vescovi italiani il presidente della Cei, Gualtiero Bassetti. “Il santo è uno che è vaccinato di Spirito Santo, e che rimane anche con il suo caratteraccio”.

 

Questa mattina, il Papa andrà sulle tombe di don Milani e, prima, di don Primo Mazzolari, il prete di Bozzolo, partigiano e primo contestatore della dottrina della guerra giusta.

 

Francesco non va per riabilitarli (di acqua sotto i ponti ne è passata e di omaggi ne sono stati fatti ad abundantiam negli ultimi anni), ma per testimoniare con la sua presenza che il loro messaggio alla chiesa di oggi può dire molto. Dopotutto, basta riascoltare quanto il Papa sottolineò in un videomessaggio su don Milani diffuso un paio di mesi fa: “La sua era un’inquietudine spirituale, alimentata dall’amore per cristo, per il Vangelo, per la chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”. Ecco il tratto comune con il pontificato corrente, l’accento sulla chiesa concepita come ospedale da campo. Ma a cinquant’anni di distanza dalla morte del sacerdote di Barbiana, la figura di don Milani continua ad alimentare il dibattito.

 

Lo storico della chiesa Sergio Tanzarella, ordinario presso la Facoltà teologica dell’Italia meridionale, ha curato per Il Pozzo di Giacobbe l’edizione critica di Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici”, testo tra i più conosciuti di don Lorenzo Milani. Ma che corre il rischio di essere frainteso. Scrive Tanzarella che “l’allergia alle fonti e al rigore dello studio non è un caso nuovo nell’Italia del trionfo degli opinionisti televisivi, degli agganciati alle cordate accademiche e dei convegnisti di professione”. S’accapigliano anche storici con ex priori, e cioè lo stesso Tanzarella con Enzo Bianchi, emerito di Bose, che lo scorso maggio al Salone del libro di Torino aveva presentato i Meridiani Mondadori sul prete finito a predicare nel Mugello.

 

“Perché un uomo come Milani appariva molto lontano a Dossetti, appariva molto lontano al cardinal Martini, per dire di persone estremamente attente, e anche a me – sono parole di fratel Bianchi –, che salii da lui nel ’66 a trovarlo, dico la verità, non fece questa grande impressione. Perché? Perché la grandezza di don Milani, come è stata, non era, come posso dire, accoglibile in quel mondo spirituale cattolico che veniva fuori dal Concilio in poi. Per don Milani, il Concilio è una cosa estranea, è una dimensione che non lo tocca”. Apriti cielo. Replica il prof. Tanzarella, dalle pagine di Adista: “Mi chiedo cosa era andato a fare a Barbiana e cosa pensava di vedere di tanto impressionante e utile per lei?” , chiede a Bianchi. “Ma ciò che è più grave è che a distanza di mezzo secolo lei non ha capito ancora nulla di Milani. Lo dimostrano tre affermazioni del suo discorso torinese nel quale chiama in causa due morti che non possono smentirla: Dossetti e Martini. Del primo non possediamo alcun riferimento dedicato a Milani e il secondo scrisse su Milani un articolo che non è certo tra i suoi migliori”. Non solo, perché quanto al Vaticano II, “Milani ha anticipato il Concilio”, altro che estraneità. Proseguiva Bianchi: don Milani “non è toccato nemmeno dalla parola di Dio; per lui la parola è soprattutto lo strumento umano con cui uno trova la libertà, la soggettività, attua quella che nel ’68 sarà chiamata la prise de parole e lui voleva dare questa parola ai poveri e ai semplici”. Letture agli antipodi che nemmeno una visita del Papa alla tomba del “santo col caratteraccio” potrà mettere in sintonia.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.