La miserabile resa alla caccia alle streghe
Il cardinale Pell incriminato per abusi sessuali di decenni fa. Per me, sulla sua non colpevolezza vale il vaglio di tre Papi. Ma l’incapacità della chiesa di difendersi dalle accuse di pedofilia viene da più lontano: da Lutero e dal Vaticano II
Il passaggio o la recita sempre lo stesso. Quaranta, cinquanta anni dopo spuntano le vittime, il racconto orrido di abusi e coperture degli abusi si fa largo a macchia d’olio, il tempo trascorso rende il tutto molto opaco ma la memoria organizzata è infallibile e si nutre di particolari da incubo che sfidano il mezzo secolo dai fatti, i comitati legali e ideologici si impadroniscono della situazione, vittime e portavoci delle vittime e delle associazioni antipedofilia non si distinguono più tra loro, commissioni d’indagine politiche si mescolano con tutto l’equivoco del caso a pubblici ministeri e polizia giudiziaria nella rincorsa al rinvio a giudizio, la chiamata in causa di prelati collocati sempre più in alto nella gerarchia vaticana rende più saporito il minestrone cucinato con l’operosa assistenza dei media, e il dilagare di pubblicazioni ad hominem, esempi di character assassination senza scrupoli, appronta il letto su cui si distende un’opinione pubblica indignata, terrorizzata dai particolari, fino all’inevitabile accusa di stupro, abuso supremo.
Ora hanno beccato in pieno il cardinale George Pell, australiano, prete nei primi anni Settanta, poi arcivescovo, poi primate d’Australia e cardinale della chiesa romana, infine numero tre operativo del potere vaticano con delega alla finanza e alla sua riforma. Dall’Australia, tra commissioni politiche e magistratura, tra comitati e movimento delle vittime, sono riusciti a incriminarlo, con una ovvia presunzione di innocenza e una altrettanto ovvia gogna universale, e lo mandano sotto processo. E’ archiviata l’archiviazione delle precedenti denunce o testimonianze, risalenti al 2002, e si procede sicuri e inflessibili nonostante tutto. Il vaglio di tre pontefici sulla figura di Pell è un boccone ghiotto: san Giovanni Paolo II lo fa vescovo e cardinale, Benedetto XVI lo stima e lo considera per quel che è, uomo della tradizione cattolica e della guerra al relativismo religioso, filosofico e morale, mentre Francesco addirittura, sapendo che era personalità “controversa” agli occhi del movimento antipedofilo australiano, lo chiama a Roma ad altissime responsabilità. Un passaggio delicato per il pontificato, sentenzia uno dei portavoce della zizzania curiale, il giornalista Fittipaldi. Un esempio di tolleranza zero per un Papa che gli impone di tornare in Australia a difendersi in giudizio, è il verdetto del difensore di Francesco, Alberto Melloni.
Io nel video via web vedo un uomo che va verso gli ottanta, un colosso dalla faccia larga, sincera e intelligente, che parla un inglese con l’accento rude della “riva fatale”, e un’espressione amara, malinconica, impaurita nonostante l’orgogliosa proclamazione della sua innocenza e la disponibilità impeccabile a battersi in giustizia per dimostrarla. Pell ha tutta l’aria di sapere quanto è forte l’aura di sospetto e di fetida malevolenza che circonda qualunque prelato vaticano in posizione eminente che sia raggiunto da accuse di abusi e copertura di abusi, conosce il meccanismo della vittimizzazione in cui si mescolano ricordi lontani, testimonianze per loro natura giuridicamente dubbie, rimpasti orchestrati della memoria come strumento ideologico di lotta contro il clero cattolico. Sa che il delegato del Papa nella commissione vaticana contro la pedofilia, parlando nella celebre “60 minutes” della Cbs americana, Peter Saunders, tra i fedeli abusati in gioventù, gli ha rovesciato contro l’imputazione mortale di essere uno che “disprezza i bambini vittime di abusi sessuali”. Pell è un uomo realista e pragmatico, un costruttore e un capo, uno che diffida delle burocrazie curiali, dove si annidano tanti suoi nemici che sono nemici di ogni riforma e soffiano sul fuoco sacro del repulisti morale perché nulla davvero cambi, e probabilmente ha un’opinione dubbia di molti aspetti plateali e chiassosi della campagna contro gli abusi del clero in tutti questi anni. Dunque “disprezza i bambini vittime di abusi sessuali”, è una delle tante equazioni morali penetrate nella scorza una volta dura della chiesa, oggi un corpo fragilissimo e un’anima in pena.
Sulla non colpevolezza di George Pell aggiungo il mio modesto e inessenziale al vaglio di tre Papi. Sono da sempre convinto, e non c’è “Spotlight” che mi faccia cambiare parere, che uno dei cardini della secolarizzazione e scristianizzazione forzata di tutti questi anni, fino alla messa in stato di espiazione di un pontificato teologico altissimo, e alla Renuntiatio del suo titolare Benedetto XVI, è la campagna orchestrata contro la pedofilia del clero. Il disordine sessuale è sempre stato tipico di tutte le società in generale, e in particolare non sfuggono al quadro i luoghi deputati dell’inibizione della libido, tra questi il clero monosessuale, celibe e votato alla castità. Non sono un negazionista quando si parli di abusi sui minori. Bisogna però che se ne parli in modo civile, rispettando le proporzioni, sapendo misurare con giustizia e senso comune l’esatta dimensione del fenomeno e la sua diffusione, evitando di fare cacce alle streghe monacate o tonacate, troppo semplice rovesciamento storico e mitologico della logica di Torquemada e dei peggiori istruttori dell’Inquisizione spagnola. E sono stordito dall’incapacità della chiesa di rispondere per le rime alla caccia alle streghe, dalla rinuncia a spiegare, a descrivere, a tematizzare il fenomeno degli abusi, consegnando mani e piedi il clero alla logica del sospetto come anticamera della verità. S’io fossi Papa arderei lo monno, per parafrasare a contrario Cecco Angiolieri (s’i’ fosse papa, sarei allor giocondo / ché tutti i cristiani embrigarei). Risponderei alla Royal Commission australiana che si facessero gli affari loro, e alla giustizia dello stato di Victoria che il cardinale Pell è indisponibile a processi che potrebbero trasformarsi facilmente in giustizia sommaria, è statutariamente difeso dalla sua condizione vaticana, e non figurerà come capro espiatorio nel quadro di una grave campagna di delegittimazione dell’autorità e dei carismi della chiesa cattolica cioè universale. Ma questo non può ahimè accadere.
Con il Concilio Vaticano II la chiesa romana è diventata luterana. Genio religioso, grande predicatore, feroce moralista, il monaco fatale dell’Europa e del mondo moderno affidava, con Paolo e Agostino, alla sola fede la salvezza delle anime, e alla sola Scrittura. Ne uscì distrutto l’impianto di fede e ragione costruito da Tommaso d’Aquino con l’ausilio di Aristotele. Ne uscì consumata in cinque secoli la chiesa come istituzione pellegrina visibile, sostituita dal popolo di Dio che amministra per sé solo, nell’intimità e nella quotidianità del suo vivere, l’istinto del peccato e l’impulso morale. Roma diede scandalo, tra lascivia denaro politica e bellezza, e la cristianità occidentale piano piano è mutata fin dalle sue radici sotto la sferza della Riforma. Il disordine sessuale antico come il mondo, sotto l’azione congiunta del puritanesimo e del libertarismo relativista, è diventato fenomeno specifico, è dilagato come problema proprio di una chiesa celibe e casta, dunque repressiva, ed è fatto oggetto di una campagna secolarista di colpevolizzazione. L’unica risposta rimasta è quella, per la verità miserabile, della tolleranza zero e dell’abbandono dei preti al vorace pregiudizio dei giusti, dei portavoce delle vittime.
Editoriali
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