L'arduo cammino di Francesco sulle tracce di Lutero
L'azione del Papa gesuita ispirata a una nozione della fede come rapporto intimo dell'individuo con Dio, fuori da ogni legame dottrinalmente codificato. Vedremo preti trasformati in pastori e donne che dicono messa?
Il cardinale Gerhard Mueller lascerà la guida della Congregazione erede del Sant’Uffizio, detta “per la dottrina della fede”, e sarà sostituito dal gesuita spagnolo Ladaria Ferrer. Il Papa non teologo, e antiteologico, tutto pastorale, che vuole sentire l’odore delle pecore del gregge santo di Dio addosso ai pastori, e non i fumi concettuali della tradizione dottrinale, si libera di un cardinale indocile, nominato da Benedetto XVI a capo della struttura cruciale del Vaticano. Probabilmente inevitabile, visto che Mueller era stato critico sulle posizioni e le procedure sinodali con cui il pontificato ha introdotto nella chiesa cattolica una sostanziale autorizzazione al divorzio, con nuovo matrimonio, e dunque faceva resistenza, pur nella disciplina e nel rispetto delle prerogative del suo boss, su un punto decisivo del dialogo col mondo com’è di questo straordinario e controverso vescovo gesuita di Roma.
Il tema della dottrina della fede sarebbe di una certa importanza. Più ancora del diritto canonico, i cui libri furono bruciati in piazza in un famoso rogo luterano, la dottrina è l’impalcatura per così dire costituzionale dell’istituzione pellegrina che i cristiani nei secoli si sono dati allo scopo di custodire e sviluppare senza strappi il tesoro del loro credo, che ha sempre fatto leva sulla sua invariabilità dogmatica. Per la chiesa romana, come per gli stati nazionali e gli esperimenti sovranazionali o federali, l’impianto di principio da cui poi tutto il resto dipende ha qualcosa di letteralmente sacrale: costituzioni e dottrina, in parallelo, sono il luogo della permanenza, sottratto alla danza delle opinioni, la pietra dura di ciò che non cambia nei principi fissati come guida del tempo che passa e modifica il procedere della storia, con la differenza che le carte normative secolari sono frutto di qualche secolo di modernità, con agganci più antichi, mentre la dottrina della fede cristiana è un complesso millenario, bimillenario di pensiero ritualizzato e fondato sulle fonti di una Rivelazione divina di cui la successione apostolica ha le chiavi, ma di cui nessuno può disporre con troppa disinvoltura.
All’inizio del pontificato di Francesco, quando mi piaceva studiare con un certo accanimento da neofita le mosse, il progetto ipotizzabile e dunque le conseguenze per la cultura e i costumi mondiali di un papato gesuita, mi imbattei nella previsione di alcuni Reverendi Padri romani, che confidavano alla stampa questo concetto: non si può innovare la pastorale con radicalità senza conseguenze dottrinali, a una chiesa povera e per i poveri, definizione teologica e non sociologica, così come la concepisce il Papa argentino della teologia del popolo, dovranno corrispondere necessariamente nuove coordinate dottrinali, insomma forme nuove della tradizione di fede. Ci siamo, mi pare. Non è certo che il processo possa essere compiuto nell’ambito di questo regno pontificale, ma è avviato, e con un concistoro sempre più segnato dalla scelta di cardinali del sud del mondo è ipotizzabile un futuro di riforma anche teologica e dottrinale della chiesa latina o occidentale.
Come si prega, come si intende la messa, la natura della confessione privata dei peccati, quali e come siano strutturati i sacramenti, tra questi il matrimonio e il sacramento dell’ordine che autorizza i preti a un vicariato del Cristo, per non dire del primato papale, tutto questo è stato oggetto della critica innovatrice e radicale dei protestanti a partire dal Cinquecento. L’azione di Francesco, ispirata a una nozione della fede come rapporto esclusivo, intimo e misericordioso dell’individuo con Dio, fuori da ogni legame concettualizzante e dottrinalmente codificato, fuori dall’alleanza ratzingeriana e giovanpaolina tra fede e ragione, va nella direzione, sulla scorta del Vaticano II inteso come rottura e rivoluzione dell’essenza della tradizione cristiana, fissata dalla predicazione del monaco agostiniano di Wittenberg. Forse era fatale che finisse così, con questo nuovo inizio o ripartenza nel segno della libertà di coscienza del cristiano e dell’aderenza sine glossa, come si dice, alle Scritture Sacre. Vedremo preti trasformati in pastori, cioè in sacerdoti laici eletti dalla comunità? Vedremo donne che dicono messa? Chi lo sa, la chiesa di Roma è lenta, ma la profezia martiniana sul ritardo di duecento anni da recuperare va integrata, a cinquecento anni dalle Tesi di Wittenberg, a un arco di recupero temporale più ampio: cinquecento anni da rivisitare e recuperare. Solo i gesuiti potevano pensare una cosa così rischiosa e ardua, nonostante tutta la loro celebrata prudenza.