Il cardinale Philippe Barbarin (foto LaPresse)

Finita la caccia al cardinale Barbarin, per i giudici non ha protetto i preti pedofili

Matteo Matzuzzi

Dopo anni di fango e di gogna mediatica,la procura di Lione archivia tutto: "L'arcivescovo non ha fatto nulla di male"

Roma. La character assassination messa in piedi, con la solita fanfara mediatica a corredo, nei confronti di Philippe Barbarin, cardinale arcivescovo di Lione e primate delle Gallie, è fallita. Dopo anni di velenosi mormorii e accuse scagliate dai laici pulpiti della République contro l’eminenza che avrebbe taciuto pur sapendo che uno dei suoi preti –  anzi, due preti – abusavano di minori – la procura di Lione ha archiviato tutto. E non perché i fatti siano prescritti, ma perché “non c’è stata alcuna infrazione penale da parte dell’interessato”. Tradotto, Barbarin non ha fatto nulla di male, con le malefatte dei due sacerdoti incriminati non c’entra nulla. Le generose dosi di fango messe nel ventilatore hanno fatto il loro effetto, ma oltre a quello c’è poco altro da dire. La diocesi, in uno scarno comunicato con cui ha dato conto della decisione della magistratura, auspica “che i media, che avevano ampiamente riportato le accuse del 2016, siano mossi dalla stessa preoccupazione” nell’informare che tutto s’è risolto in una bolla di sapone. Vedremo. Il procuratore di Lione ha motivato l’atto sottolineando che Barbarin aveva pure spinto uno degli abusati a denunciare “l’aggressione sessuale” a chi di competenza. L’arcivescovo era finito nel mirino dei forcaioli d’oltralpe una prima volta per il caso di Bernard Preynat, il prete che tra il 1986 e il 1991 aveva abusato diversi minori membri di un gruppo scout. L’accusa era di aver punito il pedofilo solo nel 2015, cioè tredici anni dopo aver assunto la guida della diocesi. Barbarin aveva risposto che lui s’era mosso solo allora perché la prova (ossia una testimonianza attendibile e diretta) l’aveva avuta nel 2014 e che poi immediatamente aveva sospeso Preynat da ogni incarico. Troppo poco per i soliti comitati in difesa delle vittime, che avevano scritto al Papa chiedendo di agire subito e di cacciare Barbarin, che nel frattempo veniva ascoltato in procura per dieci ore di fila, accusato di aver “occultato un crimine”, cioè di aver insabbiato casi di pedofilia. Infamia grossa per un principe della chiesa.

 

Lo scorso agosto, il tribunale di Lione archiviò tutto. Ma la grancassa non s’è fermata, perché intanto contro l’arcivescovo arrivava la seconda denuncia. Stavolta a puntare il dito contro il porporato era un “alto funzionario del ministero dell’Interno”, abusato da Jérôme Billioud, altro prete diocesano. Barbarin, a suo dire, doveva essere punito “per aver messo in pericolo la vita altrui” e per “istigazione al suicidio”. I fatti risalivano a molti anni prima, al periodo compreso tra il 1990 e il 1993. Nel 2009 –  solo nel 2009 – la vittima chiede un incontro con il cardinale, che lo riceve. Il funzionario del ministero dice a Barbarin di voler denunciare tutto e l’arcivescovo gli dice che fa bene, anzi lo incoraggia. Poi la Procura decide di archiviare tutto. A quel punto, il mirino si sposta sulla testa dell’arcivescovo. “Due volte in diciassette anni sono stato messo a conoscenza di fatti di questo tipo da parte di persone che sono venute a parlare con me, e la polizia in entrambi i casi ha sottolineato come io abbia agito tempestivamente.

 

La domenica dopo, i due preti già non celebravano messa e ancora oggi sono sospesi dal ministero”, quasi gridava un anno fa il cardinale non appena le nuove accuse erano state date in pasto alle folle che non vedevano l’ora di metterlo ai ceppi. Frattanto, la solita associazione delle vittime, “La Parole Libérée”, inviava letterine a Santa Marta, chiedendo udienza al Papa, con la speranza d’ottenere un mea culpa vaticano e ovviamente la destituzione dell’insabbiatore porporato. Jean-Pierre Denis, direttore del giornale cattolico La Vie, scriveva già allora che “la caccia a Barbarin è violenta” e che “il panorama mediatico si riempie di esagerazioni e approssimazioni”. Niente di nuovo, sia chiaro, visto che “quando si tratta della chiesa cattolica, bersaglio troppo comodo, ogni tentativo di fornire una risposta o una sfumatura sarà denigrato, ridicolizzato, presentato come uno scivolone o con disprezzo. Si mescoleranno il passato e il presente. Si imputeranno a questo arcivescovo gli errori commessi sotto il regno del predecessore del predecessore del suo predecessore”. Perfino Manuel Valls, il primo ministro di Hollande, forse per risalire un po’ nel gradimento dell’elettorato, mettendo da parte ogni garantismo e imbracciando la forca giacobina chiedeva al cardinale “di assumersi le proprie responsabilità, parlando e agendo”. Barbarin l’ha fatto e il tempo – che è pur sempre superiore allo spazio – gli ha dato ragione.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.