I migranti e il Papa
Davvero Francesco voleva mandare un messaggio sullo ius soli al nostro Parlamento? No
Leggere prima di commentare. La massima è ovvia se l’intenzione è capire. Se invece l’obiettivo è tirare il Papa dalla propria parte basta fermarsi a qualche titolo forzato. La lettura del Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2018 va poi affiancata alla rilettura degli interventi precedenti sullo stesso tema. La conclusione non è esattamente l’apologia della proposta di legge in discussione al Senato sullo ius soli, come i media hanno subito sintetizzato, con seguito altrettanto rapido di chiose pro e contro.
Punto n. 1. Se le parole di Francesco riguardano la giornata “mondiale” dei migranti, vuol dire che il cono di attenzione non è solo l’Italia, ma è niente più che il mondo. E nessuno può negare che nel mondo, di fronte alla mole dei movimenti migratori, via sia, per riprendere i quattro termini chiave adoperati nel messaggio, un serio deficit di accoglienza – per non andare troppo lontano, va tutto bene ai confini meridionali della Libia, con chi proviene da Sud? –, di protezione – per non andare troppo lontano, siamo contenti che nessun curdo riesca ad allontanarsi dalla Turchia, a seguito del turpe accordo con l’Ue del marzo 2016? –, di promozione e di integrazione: gli spettacoli di Calais o dei confini balcanici dicono qualcosa in proposito.
Punto n. 2. Se il Messaggio riguarda il mondo, e non solo l’Italia, l’Italia tuttavia non è tenuta a disinteressarsene ma, rispetto alle questioni che esso pone, è chiamata a confrontarlo con il complicato stato dell’arte al proprio interno. La “detenzione” nei centri di raccolta finalizzati alle espulsioni è limitata da tempo a pochissimi casi, al tal punto che l’esigenza da noi è opposta: è cioè garantire la sicurezza comune con l’inserimento nei centri di coloro che devono essere allontanati coattivamente perché delinquenti, o sospetti di terrorismo. Prima accoglienza e assistenza sanitaria sono garantite a prescindere dall’ingresso regolare e – quanto alle cure mediche – a prescindere dalla presentazione di una domanda di asilo. Il Papa fa riferimento pure alla formazione del personale di polizia di frontiera: dentro e fuori l’Europa, tutti attestano l’ottima qualità delle forze di polizia italiane a ciò dedicate.
Punto n. 3. Poniamo a fianco gli auspici del Papa sugli strumenti di integrazione, dalla conoscenza della lingua all’istruzione, alle garanzie sul lavoro con la legislazione italiana, consolidatasi in un quarto di secolo. C’è tanto da fare quanto alla piena applicazione delle norme vigenti, ci sono ancora sacche di sfruttamento pesante, da Rosarno alla Capitanata e al Casalese, ma se si svolgono periodiche operazioni di polizia, è in coerenza con un ordinamento che impone di intervenire. Da qualche sindacalista entusiasta della lettura strumentale del Messaggio di Francesco ci si attenderebbero piuttosto occhi aperti dalle sezioni del suo sindacato sui territori critici.
Punto n. 4. Giusto per non eludere il nodo sul quale si è scatenata la polemica: la cittadinanza. Il passaggio contenuto nel messaggio si presta più di altri a rilanci equivoci. Ma la sua lettera esprime la preoccupazione a evitare apolidie. La gradualità del nostro sistema – permesso di soggiorno, carta di soggiorno, cittadinanza – riconosce un progressivo pieno inserimento molto prima del riconoscimento della cittadinanza, sempre che il migrante collabori, e ciò scongiura l’isolamento proprio degli apolidi. Questi ultimi sono pressoché sconosciuti in Italia: tutti i migranti, o quasi, hanno la propria cittadinanza di origine, e taluni di loro non chiedono quella italiana perché rischierebbero di perdere quella della nazione di provenienza. Senza trascurare le centinaia di migliaia di provvedimenti concessi negli ultimi anni.
Leggere prima di commentare. Altrimenti a essere espulsi sono buon senso e ragionevolezza.