Come Caffarra non ce ne sono più
È morto a 79 anni l’arcivescovo emerito di Bologna. Rispettoso e ortodosso, ma pugnace riguardo la dottrina della fede, sapeva bene che cosa si perde il mondo quando non ha più il limite di Dio e della chiesa
Il suo volto bussetano era disteso e dolce come un medaglione di Pio IX, che era di Senigallia, ma con un tratto caratteriale alla Giovannino Guareschi, che visse e si fece seppellire dalle parti dove Caffarra era nato, appunto Busseto. Carlo Caffarra, cardinale, arcivescovo emerito di Bologna, firmatario con tre confratelli porporati dei dubia, domande al Pontefice circa tre sacramenti come il matrimonio, la confessione e l’eucaristia, era un dottrinario. Oggi questo termine è sinonimo di retrogrado, di attardato, di fissato, un uomo fuori dal mondo e contro il mondo. Ma nel suo ultimo pronunciamento importante, il magnifico testamento affidato al Foglio per la penna di Matteo Matzuzzi, si vede bene che cosa sia un dottrinario, almeno quando sia capace di richiamarsi, per domandare rispettosamente al Papa un pensiero chiaro su questioni vitali della fede cattolica, alla febbricitante affermazione di Kierkegaard per definire la logica della vita cristiana: “Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto”.
Questo Papa si muove sempre, qualcuno che rimanga sempre nello stesso punto ci vorrà pure. A conclusione di due sinodi sulla famiglia, Bergoglio scrive una esortazione apostolica, Amoris laetitia. I paragrafi dal 300 al 305, più la nota 51, allarmano i dottrinari. Secondo quel testo non ci si può limitare a dire di no al fedele divorziato e risposato civilmente che chiede l’ammissione all’eucaristia. Bisogna accompagnarlo con discrezione e vedere caso per caso. Un parroco scrive a Caffarra, che cita la lettera, la quale in parafrasi suona così: “Io dico al penitente che può avere l’ostia consacrata se non fa sesso con il suo nuovo partner, lui mi risponde che il Papa a queste cose non ci bada. Io non so che cosa pensare e fare”. Caffarra è convinto che le parole del Papa debbano essere interpretate come una perdurante condanna dell’adulterio (va’, e non peccare più), ma molti vescovi pensano l’opposto (neanche io ti condanno). Di qui il dubbio. Il divorzio, che è con la pillola e l’aborto la più grande rivoluzione della modernità, per non parlare dell’ingegneria genetica, è dunque derubricato da peccato di adulterio, inteso come un habitus, un peccato stabilizzato e praticato serenamente, a generica inadempienza senza conseguenze?
Per chi riflette da laico su come va il mondo, sulla sua incredibile mobilità morale, è al massimo un problema, sebbene l’adulterio sia parte integrante della nostra vita da tempo immemorabile e più di recente un qualsiasi comportamento codificato dalla legge. Per il chiunque che è in tutti noi la sola idea di due esseri che siano casti dentro un’unione fa sorridere. Ma per il dottrinario che ha in mente il vangelo e san Paolo, oltre che il catechismo e il codice di diritto canonico e i testi papali che riguardano la famiglia, la verità, la coscienza? Per lui è un dramma spettacolare, quei paragrafi sono esposti alla malizia dell’interpretazione soggettiva, lasciano spazio all’equivoco in materia di salvezza delle anime, sono come un abisso spalancato davanti alla libertà umana di decidere per il bene o per il male.
Così era per questo cardinale rispettoso e ortodosso, ma pugnace e delicatamente intrattabile riguardo la dottrina della fede e della vita cristiana. Dei gesuiti, croce e gloria della chiesa, pensava, come ha detto di recente a un commensale, che sono ossessionati dal tema dell’efficacia storica dell’annuncio cristiano. Di questa presunta efficacia fa parte integrante oggi una misericordia senza giustizia, un’attitudine al perdono che allieta, consola e corrompe. Situazione di crisi, situazione luterana, l’industria delle indulgenze contro la verità evangelica.
Ancora Caffarra: “Noi siamo veramente, non per modo di dire, liberi davanti al Signore. E quindi il Signore non ci butta dietro il suo perdono. Ci deve essere un mirabile e misterioso matrimonio tra l’infinita misericordia di Dio e la libertà dell’uomo, il quale deve convertirsi se vuole essere perdonato”. Questa immagine di un Dio che “non ci butta dietro il suo perdono” è letteraria, scritturale, biblica, non è banalmente dottrinale, esige rispetto e ammirazione a 500 anni dalle tesi di Wittenberg, fa pensare anche il mondo depensante e mobile che, senza il limite di Dio, della chiesa e della sua libertà non sa cosa si perde. Carlo Caffarra lo sapeva, e con lui lo sanno ancora pochi grandi preti probabilmente in via di estinzione.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione