Altro che pranzo in basilica. A Bologna il Papa archivia la guerra giusta
La sorpresa della visita a Bologna è la riscoperta di Lercaro
Roma. Più che per le libagioni in San Petronio e il braccialetto dei migranti al polso, la visita di Francesco a Bologna andrebbe ricordata per il discorso tenuto dinanzi al mondo accademico dell’Alma mater. Un intervento non banale, quello del Papa, che rende evidente la svolta nell’approccio della Santa Sede – quantomeno sotto il suo pontificato – rispetto alla geopolitica odierna. Ancora più rilevanti, le sue parole, perché hanno ripreso la celebre omelia che il cardinale Giacomo Lercaro tenne il 1° gennaio del 1968 e che gli costò la cattedra di arcivescovo di Bologna. Troppo forti furono allora le parole contro i bombardamenti americani in Vietnam – con Washington che fece sentire la propria voce in Vaticano – perché il diplomatico Paolo VI potesse soprassedere.
Nessun Pontefice, da allora, aveva più ripreso in mano quell’omelia, fino a domenica scorsa. “Il cardinale Lercaro qui disse che ‘la chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità, ma la profezia’”. E allora, ha detto Francesco, “non neutrali, ma schierati per la pace”!”. Da qui deriva l’elaborazione dello ius pacis, il diritto della pace, “come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza. Per questo ripetiamo: mai più la guerra (come il Jamais la guerre! urlato da Montini all’Onu, nel 1965), mai più contro gli altri, mai più senza gli altri! Vengano alla luce gli interessi e le trame, spesso oscuri, di chi fabbrica violenza, alimentando la corsa alle armi e calpestando la pace con gli affari”.
Ne va del domani, prossimo o lontano e ne va pure del destino dell’Europa: “Rinnovo con voi il sogno di un nuovo umanesimo europeo, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia; di un’Europa madre, che rispetta la vita e offre speranze di vita; di un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia grande, non un problema dato dalla mancanza di un lavoro sufficientemente stabile”.
Niente più teorie della guerra giusta, insomma, che comunque appariva già in declino, soprattutto da quando i criteri di legittimazione della guerra sono andati progressivamente restringendosi, man mano che questa diventava una questione che riguardava sempre più le popolazioni civili. “Si sono erose le basi da cui si partiva per giustificare da un punto di vista religioso un conflitto”, diceva tempo fa al Foglio il professor Daniele Menozzi, storico della chiesa e autore di Chiesa, pace e guerra nel Novecento. Verso la delegittimazione religiosa dei conflitti (il Mulino, 2008). Francesco aveva già anticipato la svolta, affermando all’indomani delle stragi parigine del novembre 2015 che “la violenza è contraria alla legge evangelica e quindi mai giustificabile”.
Questione spinosa che mantiene comunque un certo alone d’ambiguità, se è vero che “la Santa Sede – come diceva il segretario di stato Pietro Parolin – afferma la legittimità di fermare l’ingiusto aggressore”. Quanto a teorizzare l’avvento di uno ius pacim era stato il cardinale Peter Turkson, all’epoca presidente del Pontificio consiglio per la Giustizia e la pace, i dubbi maggiori erano stati espressi dalla comunità intellettuale americana. “Il catechismo della chiesa cattolica prevede una definizione della teoria della guerra giusta, e cioè la legittima difesa attraverso la forza militare”, aveva scritto Gregory Brown dello Swarthmore College, che nel disegno pacifista intravedeva un’esplicita sconfessione non solo di Giovanni Paolo II (la “guerra giusta” nella ex Yugoslavia) ma perfino di sant’Agostino.
Vangelo a portata di mano