Il sesso di Dio

Matteo Matzuzzi

Dal peccato originale al mondo postmoderno. La chiesa davanti all’irrisolto scandalo teologico

Ma alla fine quale fu il peccato di Adamo? La Genesi va interpretata letteralmente o c’è qualcosa che sta dietro l’allegoria? Per secoli s’è discusso sull’ipotesi del libertino olandese Adriaan Beverland, secondo il quale il frutto proibito da Dio ad Adamo sarebbe stato il godimento di Eva e, quindi, il peccato di Adamo sarebbe consistito nel desiderare e nel possedere la compagna che il Creatore gli aveva dato. Puro amor carnale, insomma. La donna come scandalo teologico, punto di non ritorno. Soeren Kierkegaard la pensava allo stesso modo, pur con tutte le distinzioni del caso. Scrisse lo storico Antonello Gerbi che “un tratto, tuttavia, lo distingue” e “questo tratto è l’accentuazione dell’elemento sessuale della caduta, di quell’elemento cioè che gli sforzi allegoristici dei post-kantiani avevano respinto nello sfondo del quadro. Kierkegaard dice, sì, che con la caduta comincia la storia, e in ciò si scopre un perfetto discepolo di Kant e anche di Hegel. Ma la caduta egli sente sempre come una caduta sessuale, e la colpa è per lui peccaminosa sensualità”. Ipotesi che, dibattuta in sedi più o meno prestigiose, è stata sempre scartata dai teologi, che “s’affannano ad ignorarla, e, quando proprio non possono eluderla, ne parlano con evidente disagio”.

 

E’ che di mezzo c’è il sesso, il tabù che sovrintende ogni discussione intra ed extra moenia. Inutilmente. Già nel 2006, e cioè un anno dopo l’elezione al Soglio di Pietro, Benedetto XVI diceva che “gli adolescenti e i giovani che avvertono prepotente dentro di sé il richiamo dell’amore, hanno bisogno di essere liberati dal pregiudizio diffuso che il cristianesimo, con i suoi comandamenti e i suoi divieti, ponga troppi ostacoli alla gioia dell’amore, in particolare impedisca di gustare pienamente quella felicità che l’uomo e la donna trovano nel reciproco amore”. Ratzinger metteva le cose in chiaro, spiegava che “al contrario, la fede e l’etica cristiana non vogliono soffocare ma rendere sano, forte e davvero libero l’amore” e che “proprio questo è il senso dei dieci Comandamenti, che non sono una serie di no, ma un grande sì all’amore e alla vita”.

 

Biagio da Cesena, cerimoniere papale nel Cinquecento, riteneva il "Giudizio universale" di Michelangelo degno d'una taverna

Troppe costruzioni si sono stratificate nel corso del tempo, troppe sovrastrutture particolari si sono accatastate l’una sull’altra, complici le letture del tema che davano i tempi, le epoche storiche. Se nel Rinascimento il nudo era la regola, nel Settecento inoltrato un Papa come Clemente XIII Rezzonico passava alla storia per il soprannome di “braghettone”: disturbato da tutti quei falli visibili nelle statue che adornavano i palazzi vaticani, diede l’ordine di evirarle. Due secoli prima, il cerimoniere papale Biagio da Cesena disse a Paolo III che il “Giudizio universale” era qualcosa di orrendo, di inadatto per le sacre pareti della Sistina e che quella roba avrebbe fatto miglior figura in qualche taverna. Michelangelo, che seppe subito l’impietoso giudizio del monsignore, lo ritrasse nelle fattezze di Minosse, con un serpente che gli mordeva i genitali. Per fortuna, poi, il pontificato di Adriano VI fu breve, altrimenti pure la volta della Cappella sarebbe stata forse ripulita dalle bellezze artistiche giudicate vergognosamente impudiche. Viene in mente la scena del Marchese del Grillo in cui l’anziana marchesa dà uno schiaffo alla “svergognata e sporcacciona” nipote Genuflessa perché sorpresa a cucire un paio di mutande “che lasciano scoperti perfino i polpacci”.

 

Poi, col passare dei secoli, tutto è mutato tanto da far dire al professor George Weigel che “abbiamo un problema”. Dal rigorismo assoluto si è passati a un lassismo che ha portato al “collasso della cultura del matrimonio ovunque nel mondo”, con la “mentalità contraccettiva che ha seriamente danneggiato questa cultura”. Si sono celebrati due Sinodi, sul tema. Su famiglia e morale sessuale, anche se alla fine – come era scontato – a prevalere è stata la questione del riaccostamento alla comunione dei divorziati risposati. Scriveva Weigel che “Papa Francesco comprende la crisi della cultura matrimoniale nelle sue molteplici dimensioni, proprio come comprende che la famiglia – che inizia nel matrimonio – è un’istituzione distrutta nel mondo postmoderno”. Serve, all’uomo d’oggi, aggiungeva il biografo di Giovanni Paolo II, un “messaggio positivo”. E allora è utile rileggere alla luce di questi auspici quanto ricordava Francesco nell’Amoris laetitia, l’esortazione che di quel Sinodo fu il prodotto. “In nessun modo – scriveva il Papa – possiamo intendere la dimensione erotica dell’amore come un male permesso o come un peso da sopportare per il bene della famiglia, bensì come dono di Dio che abbellisce l’incontro tra gli sposi. Trattandosi di una passione sublimata dall’amore che ammira la dignità dell’altro, diventa una piena e limpidissima affermazione d’amore che ci mostra di quali meraviglie è capace il cuore umano, e così per un momento si percepisce che l’esistenza umana è stata un successo”. Benedetto XVI anticipava già il passaggio, spiegando che “nella formazione dell’uomo e del cristiano non dobbiamo, per paura o per imbarazzo, lasciare da parte la grande questione dell’amore: se lo facessimo presenteremmo un cristianesimo disincarnato, che non può interessare seriamente il giovane che si apre alla vita”. Si torna alla Genesi, allora. Gerbi riconduceva il sommo malinteso all’interpretazione casta e meramente spirituale di quei noti brani biblici.

 

"Quale vergine non piangerebbe, ascoltando che non esiste alcun premio per la sua integrità?", scriveva sant'Ambrogio

“L’ipotesi beverlandiana è, fin dalle origini, sostanzialmente razionalistica: vuole eliminare un’apparente assurdità (la severa, crudele, ingiustizia di Dio), dando a tutto il racconto della Genesi un che di plausibile, di normale, di quotidiano. Il peccato in essa non è più quell’enorme crimine commesso una volta sola e gravante per l’eternità, ma un atto della vita di tutti, una comune necessità”. La conseguenza, aggiungeva Gerbi in un argomentato saggio del 1933 che ha richiesto decenni di ricerca e di elaborazione e che Adelphi ha ripubblicato pochi anni fa (Il peccato di Adamo ed Eva), è che “questa universalizzazione del peccato ha favorito senza dubbio la inserzione (sporadica e imperfetta come vedremo) della ipotesi nei sistemi della colpa ereditaria, ma ne ha anche diminuito alquanto la terribilità, ne ha profanato il mistero”.

 

Insomma, di manipolazioni ve ne sono state e lo stesso Francesco, sempre in Amoris laetitia, osservava che “nel contesto di questa visione positiva della sessualità è opportuno impostare il tema nella sua integrità e con un sano realismo. Infatti – sottolineava il Papa – non possiamo ignorare che molte volte la sessualità si spersonalizza e anche si colma di patologie, in moto tale che diventa sempre più occasione e strumento di affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti”. Se Weigel inseriva il crollo del matrimonio nella più ampia e fluida crisi del mondo postmoderno, Francesco notava che “in questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’usa e getta. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di se stessi?”.

 

Bisogna interrogarsi sul "collasso della cultura del matrimonio ovunque nel mondo", ha scritto George Weigel

Qualche anno fa, Alain Besançon scriveva sull’Osservatore romano che “due temi ricorrono nei media e anche nell’opinione pubblica. Il primo è che le ingiunzioni della chiesa cattolica sono fondamentalmente un ostacolo ai piaceri dell’amore e allo sviluppo di una sessualità sana. Il secondo è che le società pagane, quelle dell’antichità e in particolare quella dei popoli “selvaggi”, godono al contrario delle delizie della spontaneità nell’amore e della libertà sessuale. Questo secondo tema – aggiungeva l’intellettuale francese – alimenta la letteratura moderna da Diderot a Margaret Mead. Un esame più approfondito ha demolito la seconda affermazione”, perché “ci si è resi conto che in Africa, in Oceania, e anche nell’antichità, affinché l’uomo e la donna possano unirsi sessualmente, occorre che superino barriere straordinariamente alte, che tengano conto di proibizioni complesse, che subiscano a volte ferite gravi, e che insomma la loro libertà di scelta è contenuta all’interno di limiti molto ristretti”. Sulla prima affermazione, Besançon osservava che “essa è contraddetta dalla letteratura e dall’arte dell’occidente europeo, che ruotano principalmente attorno all’amore e al piacere, come anche dallo spettacolo che offre il panorama alla vita urbana”. E poi, “quanto al famoso puritanesimo, non ha realmente ostacolato, se si guarda nel dettaglio, la vita amorosa di Amsterdam, Boston, Edimburgo, anche se essa ha dovuto nascondersi”. Il punto è un altro, e cioè che “in materia sessuale la chiesa cattolica ha ereditato da ciò che l’ha preceduta, cioè la morale comune noachica che per motivi storici è stata principalmente greco-romana, e anche dai precetti dell’antica alleanza. Ha fatto una cernita e ha aggiunto ciò che le è proprio. I princìpi sono poco numerosi e la chiesa li ha trasmessi attraverso i secoli con notevole costanza. Sono, fra gli altri, l’accettazione della carne, la bontà e la stabilità del matrimonio, lo stretto legame fra l’unione sessuale e l’intenzione di procreare, il posto riservato al desiderio e al piacere”. Ma c’è anche un principio nuovo, ed è “la libertà della scelta coniugale e il consenso degli sposi, oggetto di una lunga lotta che la chiesa ha sostenuto fino ai nostri giorni”.

 

Per Alain Besançon, "in materia sessuale la chiesa cattolica ha ereditato da ciò che l'ha preceduta, cioè la morale comune"

E poi c’è il capitolo sulla revisione dell’enciclica Humanae vitae, che tante sofferenze arrecò a Paolo VI. All’epoca mezza chiesa gli si rivoltò contro, vescovi che in piazza chiedevano di disobbedire al vicario di Cristo perché reo di aver negato quella svolta sulla morale sessuale che loro bramavano. Montini sconfessò la commissione speciale che pure lui aveva voluto. Insomma, il sesso anche allora era cosa serissima. Ora, cinquant’anni dopo, è tempo di ristudiare quel documento, magari – lo si vedrà tra qualche mese – aggiornandolo alle mutate esigenze dettate dalla contemporaneità. Dietro l’Humanae vitae ci sono secoli di tradizione e anche di punti fermi e chiari che sono di derivazione biblica. Amore originario non è desiderio carnale, basterebbe ripassare sant’Agostino per ricordarsi che la concupiscenza carnale è la “disobbedienza della carne”. C’entra qui la volontà umana, che ha “perso addirittura il potere che le è proprio sulle sue membra”, scriveva nel De nuptiis et concupiscentia. “Quell’appetito carnale che conduce l’uomo a cercare sensazioni, per il piacere che procurano, sia che lo spirito acconsenta sia che si opponga”.

 

Gerbi, per meglio comprendere la questione, invita a guardare Ambrogio: secondo quest’ultimo, “quali arti Eva abbia adoperato per indurre in colpa Adamo, meglio si vede dalle conseguenze del fatto: quando si videro nudi, e (citazione) ‘iniziarono a indagare le cose del mondo e quelle concepite dalla mano dell’uomo, con cui coprire la nudità della loro mente intrecciando piacere a piacere, e le inconsistenti voluttà di questo mondo, come foglia a foglia con cui coprire l’intimità genitale”. Ancora più esplicito il santo milanese fu nell’Epistola 63, quando si scagliò contro gli apostati Sarmazione e Barbaziano, che ritenevano (e lo predicavano) nullo il valore dell’astinenza e della castità: “Quale vergine non piangerebbe, ascoltando che non esiste alcun premio per la sua integrità? Quale vedova, dopo aver capito che la sua vedovanza non reca alcun frutto, preferirebbe mantenersi fedele al coniuge e vivere nella mestizia anziché darsi a una vita più allegra? Quale donna, vincolata dal matrimonio, se sentisse che la castità non è tenuta in alcun conto, non si lascerebbe tentare da una facile trascuratezza del corpo e dell’anima?”. E a chi, magari non troppo esplicitamente, mostrava dissenso pensando alla Genesi, Ambrogio faceva sapere che “se davvero lo stesso serpente è il piacere, è per questo motivo che le passioni varie e lubriche e – si potrebbe dire – contaminate dal veleno della corruzione fanno parte del piacere. Sappiamo dunque che, ingannato dall’appetito del piacere, Adamo disubbidì all’ordine di Dio e al bene della grazia. Come, dunque, può riportarci nel Paradiso il piacere, se proprio esso ce ne privò?”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.