I vescovi americani sono ancora lontani dal recepire l'agenda Francesco
Parolin a Baltimora aprirà i lavori dell'Assemblea generale
Roma. Ha scritto il magazine progressista Commonweal che il programma dell’assemblea generale della Conferenza episcopale americana (i lavori cominceranno lunedì a Baltimora) appare già vecchio prima ancora che i vescovi si siedano a discutere. Sembra quasi che per loro – si legge nell’editoriale d’apertura firmato da Rita Ferrone – il tempo si sia fermato, come se le ultime novità introdotte da Francesco, ad esempio il motu proprio sulla traduzione dei testi liturgici affidata agli episcopati locali, non fossero mai state annunciate. Chissà poi come commenteranno il discorso sulle armi nucleari pronunciato ieri dal Pontefice: “E’ da condannare con fermezza – ha detto Bergoglio – la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano”. I vescovi, poi, scrive ancora Commonweal, “voteranno una nuova traduzione dell’Ordo baptismi basato su Liturgia authenticam, come se il motu proprio Magnum principium non esistesse”.
Al di là del caso specifico, c’è la conferma della difficoltà di una tra le principali conferenze episcopali al mondo di mettersi in sintonia con l’agenda papale. Agenda che pure era stata ribadita in modo esplicito nel lungo discorso pronunciato ormai due anni fa nella cattedrale di San Matteo a Washington, con i nuovi paradigmi citati l’uno dopo l’altro, chiarendo che non era più tempo di battaglie culturali contro il mondo condotte con la croce in mano né di arroccamenti in fortini sempre più diroccati. Il Papa aveva iniziato a scavare in profondità, cercando di plasmare la gerarchia, nominando vescovi più vicini alla sua visione di chiesa e creando cardinali lontani dal profilo del conservatore muscolare che tanta fortuna aveva avuto nell’ultimo trentennio. Sono così rimasti fuori dal Collegio gli arcivescovi di Philadelphia, (Chaput), di Baltimora (Lori) e perfino di Los Angeles (Gomez). Ma la conferenza episcopale, al di là di comunicati stampa, discorsi ufficiali e lettere d’intenti, ha stentato a fare propria l’uscita in periferia, dividendosi sul recepimento dell’enciclica Laudato sì, balbettando sulle nette posizioni in materia di clima prese a Santa Marta e – salvo qualche eccezione, primo fra tutti il cardinale arcivescovo di Washington, Donald William Wuerl – schierandosi contro le aperture di Amoris laetitia. L’attuale presidente, il cardinale Daniel DiNardo, eletto l’anno scorso, firmò la lettera in cui lamentava un possibile indirizzamento del Sinodo verso tesi aperturiste preconfezionate. Poco sembra essere cambiato, nonostante la nomina di un nunzio vicino alle posizioni di Bergoglio (mons. Christophe Pierre).
E’ in questo quadro che si inserisce la notizia della partecipazione all’assemblea del segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin. Sarà quest’ultimo che celebrerà la messa d’apertura e pronuncerà l’omelia, che secondo diverse fonti d’oltreoceano andrà ben al di là delle celebrazioni per il centenario della conferenza episcopale bensì riprenderà alcuni temi d’indirizzo lanciati direttamente da Francesco. Si vedrà. Quel che è certo è che, secondo i piani iniziali, l’onore di celebrare la messa era stato riservato al cardinale Marc Ouellet, canadese e prefetto della congregazione per i vescovi. Poi, il cambio. Con le parole di Parolin che avranno risonanza ben oltre i confini cittadini di Baltimora.
Matteo Matzuzzi
Editoriali
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