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Il Dio incarnato non è un mito

Gabriele Palasciano

La storicità di Gesù di Nazareth, il significato cristiano del Natale e il futuro dell’occidente nelle riflessioni dello storico francese Jean-Marie Salamito

Parigi. Con il Natale, i cristiani di tutto il mondo, che si riconoscono nel Credo niceno-costantinopolitano, celebrano uno dei misteri centrali della loro fede: la Parola e Ragione creatrice divina si fece carne. In una conferenza tenuta all’Università di Ginevra nel 2009 intitolata Incarnation, lo storico Clifford Ando, docente dell’Università di Chicago, enunciando un insieme di paragoni mitologici circa “il mito del dio incarnato” nella storia delle religioni, dichiarava di dover sospendere la lettura della sua lunga lista comparatista “per rispetto verso la facoltà di Teologia presente in questa università”. Egli contestava fondamentalmente la pretesa cristiana dell’unicità dell’Incarnazione di Dio, sferrando così un duro colpo al dogma, risparmiando tuttavia la figura storica di Gesù di Nazareth. Con la recente pubblicazione del libro Decadenza. Vita e morte della civiltà giudaico-cristiana (Ponte alle Grazie, 2017), il filosofo francese Michel Onfray non si limita alla negazione dell’insieme delle dottrine cristiane, ma colpisce direttamente la storicità di Gesù, riducendolo a pura creazione mitica e illusione. Ando e Onfray rappresentano così due orientamenti di fronte alla questione di Gesù e del cristianesimo: l’uno lo scetticismo sulla dottrina per fare ritorno alla storia; l’altro la negazione di ogni sostegno storico per l’esistenza del Galileo. In vista di una conciliazione tra critica storica e sviluppo della dottrina cristiana, il professore Jean-Marie Salamito, storico del cristianesimo antico e specialista del pensiero agostiniano della Sorbona di Parigi, invita alla prudenza e a un attento riesame critico delle fonti.

 

Lei ha pubblicato recentemente un libro, in risposta a Michel Onfray, dal titolo Monsieur Onfray au pays des mythes. Réponsessur Jésus et le christianisme (Salvator, 2017). Nel testo di Onfray viene attaccata proprio la storicità di Gesù…

Si tratta dell’aspetto più scandaloso di questo libro. Onfray si nutre di approssimazioni e di imprecisioni storiche, tentando di presentare una completa filosofia della storia, nonché un grande racconto della storia occidentale da Gesù fino a oggi. In realtà, il suo libro non solo è frutto dell’ignoranza storica e del pregiudizio, ma è anche portatore di una concezione

Ultimamente si assiste al ritorno
di chi riduce Gesù a sola figura storica, negando la dottrina, e di chi nega anche la sua stessa esistenza

profondamente anticristiana. Egli parte dal presupposto che Gesù non sarebbe mai esistito, ma così va contro il consenso di tutti gli specialisti internazionali di storia antica, di storia del Giudaismo, di storia del Cristianesimo e del Nuovo Testamento. Infatti, tutti questi specialisti sono concordi nel riconoscere l’evidenza dell’esistenza storica di Gesù. Negandola, Onfray dimostra la propria ignoranza storica e fragilità metodologica, poiché non si fonda su argomenti storici e si limita a citare pagine dei vangeli apocrifi. Siccome questi testi sono pieni di leggende, egli crede che la figura di Gesù sia leggendaria. Una tale conclusione è un’idiozia, perché per ogni personaggio celebre della storia dell’umanità esistono delle leggende e dei clichés. Tuttavia, l’insieme della documentazione storica in nostro possesso va considerata attentamente e criticamente. Gesù di Nazareth è realmente esistito, e pretendere il contrario costituisce una prova di ignoranza e di ostinazione ideologica, ma non una scelta intellettualmente valida.

 

Nel periodo natalizio ritorna spesso la domanda sull’esistenza o sull’inesistenza storica di Gesù. Il suo approccio epistemologico è molto chiaro: occorre partire dai fatti storici, utilizzando un metodo di analisi storica. Si è coscienti dell’importanza del metodo storico?

Il metodo storico è indispensabile perché viviamo in una cultura in cui la storia esiste come scienza, quindi come modalità di conoscenza. In quanto cittadini democratici che partecipano alla dimensione globale della società, in quanto persone che vivono nella razionalità occidentale, dobbiamo interessarci di storia. Approfondire la questione del Gesù storico è un esempio tra tanti altri dello studio di un personaggio dell’Antichità. La storia di Gesù non è diversa da quella che studiamo quando trattiamo di Giulio Cesare, di Augusto, dei Gracchi o degli Antonini. Si tratta di fare storia antica, confrontandosi sempre con il problema di disporre di poche fonti, spesso frammentarie. Ciò è vero per la storia greca, per la storia romana più antica, ma anche per la storia dell’Impero romano in epoca cristiana.

 

Lo storico francese Jean-Marie Salamito 

  

E per quanto riguarda la figura storica di Gesù?

Disporre di pochi documenti a proposito di Gesù, non poter sapere tutto della sua persona e della sua biografia, è normale poiché non conosciamo tutti i dettagli della vita di Giulio Cesare oppure di Adriano, o ancora di Marco Aurelio. L’affermazione e la prospettiva che intendo assolutamente difendere è che Gesù di Nazareth disturba perché porta con sé un messaggio di vita e di trasformazione esistenziale. Alcuni possono far finta di non credere alla sua esistenza oppure ignorarne l’evidenza storica, perché fondamentalmente la figura di Gesù disturba. Se si trattasse di un altro personaggio dei primi secoli, di cui si dispone di una documentazione storica più rara e meno affidabile, non si metterebbe in dubbio l’esistenza. Tuttavia, ammettere l’esistenza storica di Giulio Cesare, di Pericle o di un qualsiasi altro personaggio della storia antica non disturba l’umanità, poiché non è in gioco il senso della vita.

 

Come spiegare l’attuale recrudescenza, malgrado l’avanzamento della ricerca storico-critica, di una tendenza antistorica circa la figura di Gesù, e che intende ridurlo a un mito?

Esistono due tendenze: quella di un dogmatismo antireligioso e quella di una specie di complottismo. Tutto ciò è stato incoraggiato da un romanzo come il Da Vinci Code di Dan Brown pubblicato nel 2003 e, in seguito, adattato cinematograficamente nell’omonimo film diretto dal regista Ron Howard nel 2006. Tanti credono che esistano dei poteri nascosti che governano il mondo, impedendo ai semplici abitanti del pianeta di conoscere la verità. Molti, dopo aver letto il Da Vinci Code, oppure dopo aver visto il film, hanno accolto teorie complottiste che individuano nella Chiesa cattolica, col suo potere dispotico e oscurantista, la responsabile dell’occultamento della verità e della costruzione di alcuni miti per oltre due millenni. Al contrario, il vero mito è quello del complotto della Chiesa e del suo potere assoluto sulle coscienze e sui testi sacri. In realtà, sappiamo storicamente che la Chiesa stessa non ha mai potuto controllare né la stesura del testo dei Vangeli, né il loro contenuto. Possediamo diverse centinaia di manoscritti, ragion per cui non è possibile parlare di un potere dispotico capace di controllare la tradizione manoscritta del Nuovo Testamento. A ciò si aggiunga il potere della rete: internet costituisce sovente un mezzo di diffusione di approssimazioni storiche, di ignoranza e di miti odierni.

 

Ritiene che l’approccio di Onfray alle fonti del cristianesimo, così come la sua ostilità verso la figura storica di Gesù, sia irrazionale e oscurantista rispetto alle sue rivendicazioni razionali e illuminate?

Sono assolutamente convinto di tutto ciò. Direi che si tratta di un paradosso della nostra epoca. Coloro che negano l’esistenza storica di Gesù si percepiscono come più “scientifici” o “intelligenti” perché l’idea soggiacente è che la critica della religione sia l’espressione di una maggiore libertà e intelligenza. Tuttavia, la critica della religione deve essere condotta in modo razionale. Le esigenze intellettuali e i metodi esistono per tutti, credenti e non credenti. Eppure, Onfray non conosce le fonti, manifesta un’ignoranza spaventosa della storia antica, degli scritti neotestamentari, del personaggio di Paolo di Tarso, scrivendo così tante pagine fino al punto di rendersi ridicolo.

 

L’influenza che può avere sui lettori diventa qualcosa di problematico.

Gesù di Nazareth è realmente esistito, e pretendere il contrario costituisce una prova di ignoranza e di ostinazione ideologica

Vi sono due problemi principali. Anzitutto, Onfray può contare sul proprio nome e sulla propria celebrità. E’ un personaggio famoso e letto. Inoltre, le nostre società presentano una quantità elevata e preoccupante di ignoranza. Come dicevo, l’uomo vive in un’epoca in cui è bombardato da tante informazioni, da numerosi dati sul mondo, sulla storia e sull’attualità, per cui diventa difficile un discernimento di qualità. Per questo, ogni individuo può credersi più o meno informato e intelligente, ma ciò è in realtà espressione di una grande superficialità.

 

Si fa spesso riferimento all’amore, all’elemento romantico e sdolcinato del Natale, ma all’origine sembra che questa festa si muovesse secondo una duplice traiettoria, storica e teologica. La traiettoria storica, lo si è visto, ricorda la concretezza della persona di Gesù di Nazareth, mentre quella teologica vede qualcosa di più in Gesù, pur non rinunciando all’elemento storico. Nel 1977, il teologo protestante John Hick editò The Myth of God Incarnate per demistificare il “mito cristiano” della discesa e comparsa umana di Dio. Cosa pensa del “mito del Dio incarnato”?

Penso che si debba essere particolarmente prudenti perché all’inizio dell’era cristiana, nel I secolo d.C., il pensiero mitico non è un pensiero “quotidiano”, nel senso di “familiare”. L’ambiente culturale del giudaismo, in cui nascerà il cristianesimo, non si caratterizza per la presenza di miti. Il popolo dell’Alleanza non vive di miti, al contrario si nutre della percezione e della memoria delle azioni salvifiche di Dio nella sua storia. Perciò, non si deve parlare del pensiero giudaico e del pensiero cristiano come di due pensieri mitici.

 

Dunque, è quanto si percepisce negli scritti veterotestamentari e neotestamentari…

A titolo di esempio cito due elementi. Nel Vangelo di Luca, l’autore offre sei calendari diversi, sei sistemi differenti di datazione per stabilire l’inizio della predicazione di Giovanni Battista. Qui siamo in presenza di un pensiero storico, non mitico. Del resto questo è evidente nei racconti dell’Antico Testamento trasmessi da alcuni profeti che ricordano perfettamente l’anno in cui hanno ricevuto un’ispirazione divina. Si può certo, e legittimamente, affermare di non essere d’accordo con questa interpretazione, e non considerare Gesù nella sua divinità. Ciononostante, non è possibile presentare il pensiero cristiano, che si fonda sulla storia, quale pensiero mitico. Insomma, il carattere profondamente razionale e storico, rivendicato dal pensiero giudaico-cristiano, non può essere dimenticato.

 

Qual è la specificità del mistero cristiano dell’Incarnazione rispetto al politeismo greco-romano?

Ritengo che esista una distinzione molto chiara. Non sappiamo con esattezza se i greci e i romani credessero realmente ai propri miti. Invece, l’Incarnazione, ovvero la venuta sulla terra di Dio, del Logos o del Figlio di Dio, cioè della seconda persona di quella che più tardi sarà chiamata “Trinità”, è presentata come un fatto storico, fondatore di tutta la speranza e di tutta la storia cristiane. Non si tratta affatto di un mito. L’idea fondamentale è che il Dio della tradizione giudaico-cristiana sia buono, per cui la situazione non è quella degli dèi del politeismo greco-romano. Infatti, nella tradizione greco-romana, non è evidente che gli dèi desiderino sempre il bene degli uomini. Con la riflessione teologica giudaico-cristiana si manifesta la concezione dell’assoluta bontà del Dio unico. Nel cristianesimo tutto ciò va ancora più lontano: il Dio unico e pieno di bontà, per amore e per la salvezza del genere umano, accetta di visitare il mondo e di realizzare la propria unione con gli uomini, incarnandosi. Tutto ciò rappresenta una realtà assolutamente nuova nel panorama della storia delle religioni.

 

Quali sono le cause storiche della nascita e dell’affermazione del Natale?

La celebrazione del Natale fa parte del ciclo delle festività cristiane sviluppatosi nei primi secoli, e ben attestato a partire dal IV secolo d.C. L’idea centrale è che il tempo storico sia un tempo lineare. Dalla creazione del mondo, si passa alla storia del popolo eletto da Dio, per giungere all’Incarnazione del Logos. Dal punto di vista cristiano, l’umanità si ritrova così tra la prima venuta di Cristo in un certo momento storico, quello risalente a duemila anni fa, e la seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi. La teologia cristiana ha sempre proposto una comprensione lineare del tempo, così come una teologia della storia e una sua concezione globale. Il cristiano è consapevole di vivere tra le due venute di Cristo, in attesa dell’avvenimento escatologico. Tale storia lineare, nel ciclo annuale costituito dallo scorrere dei mesi e dall’alternarsi delle stagioni, esprime la propria ricchezza teologica con un calendario liturgico e la celebrazione dei momenti rilevanti della storia della salvezza. Innanzitutto il mistero pasquale, che costituisce il centro della fede cristiana, con la celebrazione della passione, morte e risurrezione di Gesù. In seguito, si è anche costruito un ciclo che non solo contempla la Pasqua, l’Ascensione di Cristo e la Pentecoste, ma anche il Natale in quanto non celebrazione di un mito, bensì il ricordo della nascita di Gesù come fatto storico dotato di significato teologico.

 

Esiste un legametra il Natale cristiano e il natalis Solis invicti degli antichi romani?

A dire la verità, credo che il natalis Solis invicti non abbia nulla a che fare con il Natale cristiano. Il dies natalis è un anniversario e niente di più, dato che i romani potevano celebrare tante feste. Ciò che voglio spiegare è che il calendario delle feste cristiane non rappresenta un adattamento, una trasposizione o una variante del calendario pagano. Al contrario, si tratta di un calendario che possiede una propria logica.

 

E’ quanto emerge dal punto di vista storiografico.

Ammettere l'esistenza di Cesare, Pericle o altri personaggi della storia antica non disturba l'umanità, poiché non è in gioco il senso della vita

Credo precisamente che occorra fare un po’ di storiografia per precisare la questione. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, soprattutto in Germania, c’è stato un orientamento della storia delle religioni chiamato Religionsgeschichtliche Schule. Esso proponeva di concepire il cristianesimo nel suo insieme comparandolo sistematicamente – e in modo assoluto – alle religioni pagane presenti nel contesto in cui la stessa religione cristiana si è affermata. In tal modo, la Religionsgeschichtliche Schule si rifiutava di attribuire una parte di originalità al cristianesimo, avendo l’ambizione di spiegare ogni suo singolo aspetto facendo riferimenti alle religioni politeiste dell’antichità.

 

Un metodo troppo sistematico, ed epistemologicamente grossolano.

E’ quanto sostengo. La Religionsgeschichtlische Schule ha dimenticato la peculiarità del cristianesimo. In quanto storici, quando studiamo un evento, una civiltà o un personaggio della storia, abbiamo l’obbligo di comprenderli nella loro unicità. E’ quanto dobbiamo fare perché abbiamo non solo il senso della realtà, ma anche il desiderio di capire una realtà diversa dalla nostra, che non dipende dalle nostre idee. Si deve ricordare che nel cristianesimo antico, in particolare nel III secolo dopo Cristo, alcuni intellettuali hanno voluto realizzare una cronologia della storia universale integrandola con la propria visione della storia, ovvero inserendovi gli avvenimenti centrali della tradizione cristiana.

 

Ciò comporta una visione diversa delle origini del Natale cristiano…

Infatti, contrariamente alla vulgata comune, la data del Natale non è stata stabilita e decretata rispetto al solstizio di inverno. Il Natale cristiano non costituisce il tentativo, da parte cristiana, di sostituire una festa pagana. Invece, l’idea del Natale proviene da speculazioni cristiane del III secolo d.C., specialmente da parte di Sesto Giulio Africano, sulle diverse date della storia santa, in particolare sulla data della nascita di Gesù. Quest’ultima è stata fissata rispetto alla data di nascita di Giovanni Battista. Si tratta di calcoli cronologici complessi sui quali non voglio soffermarmi in modo dettagliato. Nondimeno, si deve sapere che tali calcoli cronologici hanno fornito al Cristianesimo un calendario autonomo che non è l’imitazione di un qualsiasi calendario romano o pagano. In sostanza, si è partiti dal personaggio di Giovanni Battista in quanto profeta, dalla data del suo martirio, per giungere a quella della sua nascita. Infine, da queste datazioni si è giunti a calcolare la data della nascita di Gesù. Tutto ciò testimonia dell’autonomia del pensiero cristiano, autonomia negata per decenni dalla Religionsgeschichtliche Schule e, ancora oggi, da molte persone, quasi fosse obbligatorio, per i cristiani, riprendere elementi pagani per costituire qualcosa di veramente cristiano.

 

Dunque, Lei non è d’accordo con la tesi di una teologizzazione cristiana di una festa pagana legata al culto solare, affermatasi in particolare a partire dall’imperatore Costantino nel IV secolo d.C.

Sono del parere che sia la nascita di Gesù che la data del Natale non abbiano nulla a che vedere con i culti pagani, tantomeno con il solstizio di inverno. Solo la riflessione teologica cristiana posteriore ha riflettuto sulla datazione della nascita del Battista e di quella di Gesù. Nelle speculazioni sul calendario cristiano si è partiti dal Battista e non, contrariamente a quanto si crede, da Gesù. Ad esempio, nel IV secolo d.C., Agostino di Ippona – e con lui altri Padri della chiesa – notava che Giovanni Battista è stato martirizzato al momento in cui le giornate iniziano ad essere più brevi. Il grande teologo latino nota che il Battista nasce al momento del solstizio d’estate, mentre Gesù in quello di inverno, quando le giornate iniziano ad essere più lunghe. Si tratta di un simbolismo creato dai Padri della chiesa per riaffermare quanto, secondo il racconto evangelico, lo stesso Giovanni Battista aveva dichiarato circa Gesù di Nazareth: “Egli deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30).

 

Cos’è allora al centro della fede cristiana nell’Incarnazione di Dio?

Questo simbolismo non costituisce il centro della dottrina cristiana. La realtà centrale e fondante è che Dio si è fatto uomo. Dal punto di vista squisitamente teologico, ciò comporta due verità.  La prima è che Dio prova un grandissimo amore per l’umanità. La seconda è che l’uomo diventa un essere particolarmente degno, pieno di salvezza, perché Dio ha accettato di vivere la vita umana a partire dalla sua nascita dal seno di Maria. Qui mi riferisco ai magnifici sermoni di Leone Magno, composti nel V secolo d.C., specialmente all’affermazione agnosce, o Christiane, dignitatemtuam (“riconosci, cristiano, la tua dignità”), la dignità di chi riceve tanto amore da parte di Dio, fattosi uomo in Gesù.

 

Qual era lo stato del culto solare all’epoca della cosiddetta “decadenza” del paganesimo?

Eviterei questo stereotipo che vede il cristianesimo sorgere in un’epoca di decadenza della religione politeista. Infatti, negli anni in cui nasce la religione cristiana, oppure nel 313 d.C., dunque al momento in cui l’imperatore Costantino, in accordo con Licinio, autorizza i cristiani a vivere e a praticare la propria religione, il politeismo greco-romano gode di ottima salute. Un cliché apologetico di alcuni storici cristiani ha inteso presentare l’avvento del cristianesimo come nuova religione piena di forza, vigore e salute rispetto al politeismo greco-romano che attraversava una fase critica e di decadenza. Al contrario, storicamente sappiamo quali sono state le difficoltà incontrate dai cristiani nell’opposizione a un paganesimo in piena salute. Il culto solare non era che un culto tra tanti, inserito nel quadro di una religione caratterizzata da un accentuato pluralismo di culti e di tendenze filosofico-religiose. Il cristianesimo svilupperà autonomamente il proprio calendario, legando liturgicamente la Natività alla Pasqua di Cristo. Non sono le ricorrenze con la festa del culto solare e del dio Mithra che interessano ai cristiani.

  

A questo punto, come si dovrebbero interpretare le affermazioni teologiche, radicate nella lettura dei testi biblici, che vedono il Cristo come vera “luce”, nuovo e vero “sole” invincibile?

Il Natale non è il tentativo
di sostituire una festa pagana legata al culto del Sole: “Il cristianesimo
ha un pensiero autonomo”

Si tratta di metafore che trovano le proprie radici in una lettura cristologica della Bibbia ebraica, e che sono già presenti nel Vangelo di Giovanni. Anche qui non si tratta in primo luogo di una ripresa di tematiche pagane, oppure di una risposta al paganesimo. Credo piuttosto che si tratti di un classico riferimento giudaico-cristiano di considerare la verità di Dio paragonandola alla luce. Intendo invitare ancora una volta alla prudenza. Una religione come il cristianesimo possiede una propria costruzione concettuale-intellettuale, alla base della quale vi è la certezza del fatto che Dio si è incarnato per la salvezza degli uomini. Tale messaggio teologico si fonda, secondo la prospettiva cristiana, su un factum historicum. A partire da questo fatto storico è stato possibile elaborare una serie di comprensioni del mistero cristiano, immagini e metafore come, ad esempio, quella della luce. La metafora non è il pensiero cristiano, ma la sua espressione.

 

Come ha ricordato, la teologia del Natale si fonda sull’Incarnazione. Nel corso della storia le interpretazioni teologiche sono state tante e di grande profondità spirituale. Lei cosa metterebbe ancora in evidenza?

Parlerei della grandezza del mistero. Si tratta di una storia assolutamente straordinaria. Quello cristiano è un Dio inteso come uno e trino. Un Dio di una tradizione monoteista, ma concepito come Trinità. Che un Dio così trascendente e astratto si faccia uomo, che entri così nella storia evenemenziale, è un fatto che fa venire le vertigini. Quando un dio tra i tanti del politeismo greco-romano si trasforma in un animale o in un uomo per trovare o sedurre una donna mortale, si tratta di una storia estremamente banale e carnale. Questo perché tali divinità non sono né astratte né uniche, ma presentano passioni e stili di vita “umani troppo umani”. Invece, nel caso del Dio cristiano, si è in presenza di un fenomeno grandioso: questa sproporzione tra la grandezza di Dio e il fatto di nascere in una piccola città sconosciuta del pianeta, indirizzandosi agli ultimi e agli umili. Esiste qualcosa di inimmaginabile, che non si riscontra in altre tradizioni religiose, che presuppone un amore di Dio assolutamente senza paragone, oltre che un legame più stretto tra Dio e l’uomo.

 

Quale espressione aveva Agostino del Natale? I cristiani hanno sempre avuto la comprensione del legame tra il Natale e la Pasqua di Cristo?

Certamente, perché hanno sempre avuto un’idea della storia della salvezza. Quando parla del Natale di Cristo, Agostino pensa subito alla passione, ovvero all’umiltà di Dio che si manifesta inizialmente con la nascita e che si conferma nella passione e morte sulla croce. Qui vi è, dunque, una percezione del Natale che è priva di sentimentalismo, ostile a qualsiasi gusto per la leggenda. Non vi è alcun romanticismo, ma una visione teologica di una realtà maestosa del mistero cristiano che culminerà nel mistero di Pasqua.

 

I “vangeli dell’infanzia” contengono dei riferimenti al cosmo. Stupisce, al loro interno, la presenza di una dimensione di redenzione antropologica e cosmica al contempo. Penso in particolare al Vangelo di Matteo (2,1-12) e alla critica verso un determinismo astrale espresso dal racconto del “segno nel cielo” e dei magi.

La dimensione cosmica della redenzione si ritrova anche in Paolo. A proposito di Matteo, direi che l’insieme si situa nel solco della tradizione giudaica. Una tale eredità è segnata dall’idea, contenuta nel libro biblico della Genesi, di una creazione che rifiuta radicalmente ogni tentativo di divinizzazione degli elementi del cosmo, come sole, luna, stelle, permettendo in tal modo la conoscenza scientifica della natura. Qui torniamo a quanto detto in precedenza sul carattere razionale e storico della tradizione giudaico-cristiana.

 

Un legame espresso anche dalla liturgia natalizia che associa al racconto di Luca quello di Matteo sui magi venuti dall’Oriente, e il Prologo di Giovanni sul Verbo incarnato. La Parola creatrice, la Sapienza eterna, per mezzo della quale tutto è stato creato e sussiste, si fa carne…

Il messaggio è che la nascita di Gesù riguarda anche i pagani. Si tratta di tematiche abbastanza vicine, malgrado il fatto che siano tradizioni cristiane antiche e differenti. Certamente la tradizione giovannea non è quella matteana, ma è interessante cogliere gli elementi convergenti della riflessione teologica.

 

Quanto è stata importante la definizione teologica del Natale da parte di papa Leone Magno?

Coscienza cristiana
e consapevolezza laica
sono gli antidoti all'autodistruzione dell'Europa

Leone Magno è stato importante poiché ha inviato ai vescovi riuniti in concilio a Calcedonia, nel 451 d.C., la sua espressione della teologia dell’Incarnazione: Gesù Cristo in quanto, al contempo, vero Dio e vero uomo. In tal senso, è stata ribadita l’esistenza del legame tra la dottrina trinitaria e quella dell’Incarnazione. La teologia dell’Incarnazione richiede una precisa comprensione trinitaria e delle relazioni intratrinitarie: è la seconda persona della Trinità, il Logos e Figlio di Dio che diventa uomo. Per quanto riguarda la festa del Natale, questa è stata soprattutto illustrata e celebrata attraverso le sue importanti omelie. In genere, a Natale la liturgia cattolica propone i testi di Leone Magno perché egli è forse quello che, tra i Padri della Chiesa, ha parlato con maggiore insistenza e vigore del mistero dell’Incarnazione. Siamo troppo abituati a un Natale inteso come festività soprattutto per bambini, festività con regali, neve e ornamenti casalinghi più o meno di buon gusto. Forse si è perso qualcosa della grandezza e della maestà di questa festa.

 

I cristiani del nostro tempo crede siano davvero coscienti del messaggio di questa festa, oltre che dello scandalo dell’Incarnazione?

Non si è mai abbastanza consapevoli del mistero cristiano dell’Incarnazione perché è aldilà della nostra fantasia e della nostra comprensione. Il mistero cristiano espresso col Natale è talmente straordinario che passiamo tutta la nostra esistenza nel tentativo di capirlo.

 

Probabilmente si è persa la coscienza delle radici giudaico-cristiane dell’Occidente. Di recente un noto quotidiano italiano parlava del caso di una scuola milanese in cui, per garantire il rispetto di ogni sensibilità religiosa, l’augurio “Buon Natale” è stato sostituito con l’espressione “Buona festa delle feste”. Perché questa grande avversione per il Natale e per la cultura che ne è legata?

Perché l’occidente è stanco della propria cultura. Forse perché nel Novecento l’Europa è stata protagonista di due tremende guerre mondiali. Forse perché è stata teatro di troppe ideologie distruttrici. Probabilmente l’Europa non ha più fiducia in sé stessa. E’ piena di rimorsi, di complessi e di sensi di colpa. Credo che la tendenza all’autodistruzione culturale rappresenti la malattia psicologica dell’occidente. Si crede falsamente che è possibile accogliere l’altro, ammettere l’alterità, soltanto attraverso la negazione, quindi la distruzione, della propria cultura. Invece, è vero il contrario. Il rispetto per l’alterità è legato al Natale cristiano, in particolare all’universalismo cristiano. Come dicevamo, i magi giunti dall’oriente per omaggiare il bambino sono dei pagani e non degli ebrei (cf. Mt 2,1-12). La portata universale della nascita di Gesù viene espressa nei testi evangelici. L’illusione contemporanea è di credere che solo negando la nostra identità sarà possibile dialogare con gli altri.

 

Un’illusione pericolosa, oltre che stagnante.

Infatti, perché il dialogo non è possibile dove mancano un’identità e una ricchezza culturale-spirituale. Non è possibile un confronto tra persone che non hanno più nulla. Si deve essere attenti nell’accogliere e nel rispettare l’altro; nel costruire una nuova società aperta ai contributi intellettuali di altri paesi e di altre culture, ma ciò non implica una distruzione della propria cultura. Al contrario, la cultura è ciò che consentirà la creazione di un’Europa unita. Ad esempio, la Francia ha una vecchia tradizione di integrazione degli stranieri. E nella tradizione della Repubblica francese può dirsi “francese” chi vuole esserlo. Non si tratta tanto di una questione di sangue o di luogo di nascita, ma di volontà. Un reggimento della legione straniera aveva come parola d’ordine: “francesi non dal sangue ricevuto, ma dal sangue versato”.

 

La questione della laicità è declinata in tanti modi. In Italia, ma in tutta l’Europa, ritorna sempre all’ordine del giorno perché diverse scuole aboliscono simboli legati alla tradizione religiosa e culturale cristiana, come quelli del Natale, ufficialmente per una “questione di rispetto dell’altro”. Cosa direbbe a coloro che rifiutano tali simboli per rispetto dell’alterità?

Credo si debba ricordare, come hanno fatto e detto alcuni intellettuali francesi, l’importanza del rispetto delle leggi universali dell’ospitalità. Chi si reca in un paese straniero si aspetta di essere accolto, ma ha anche il dovere di rispettare la cultura del paese che lo accoglie. Quando mi reco ad insegnare negli Emirati arabi, quindi in un paese musulmano, nutro rispetto per questo paese e cerco di essere molto rispettoso dei miei studenti musulmani. E questi ultimi mi rispettano perché insieme condividiamo una logica di ospitalità. L’ospitalità e il rispetto reciproco delle persone e delle culture non consta solo di uno scambio, ma esige che l’altro non si autodistrugga rinunciando alla propria cultura. E’ questo l’elemento cruciale che bisogna cogliere. L’Occidente non è più in grado di capire in cosa consista la vera ospitalità. Accogliere qualcuno in casa propria non implica la demolizione della casa stessa. Al contrario, la casa deve restare intatta per poter dare ospitalità.

 

Sembra che il cristianesimo stia vivendo un periodo difficile a livello identitario, culturale e teologico. I cristiani appaiono privi di convinzione nella testimonianza, impacciati nel dare ragione della loro fede, oppure, ad esempio, del significato del Natale, abituati a far leva solo sull’emotività e sul tema dell’accoglienza. Statisticamente l’islam aumenta in Europa. Quell’islam che nega due grandi pilastri della fede cristiana: l’Incarnazione e il mistero pasquale. I cristiani sono coraggiosi nella testimonianza della loro fede ai musulmani che accolgono?

Se accogliamo i musulmani lo facciamo nel contesto delle nostre società occidentali, che è quello di un pluralismo religioso e culturale, della possibilità del dialogo di tutti nel segno della pace e del rispetto – non parlo di “tolleranza” perché non è un termine abbastanza forte. Non credo assolutamente che i musulmani abbiano bisogno di una decadenza del cristianesimo per sentirsi accolti. Al contrario, penso che colui che arriva in occidente da un paese più povero e religioso, si senta come credente più a suo agio con altri credenti che con consumatori nichilisti. Quando insegno alla Sorbona di Abu Dhabi, i miei studenti desiderano ricevere una parola precisa sulla tradizione cristiana piuttosto che quella di un docente che nega la storia del cristianesimo o l’importanza culturale della tradizione cristiana per l’occidente. Si instaura una sorta di solidarietà tra chi crede in Dio, malgrado la diversità delle tradizioni religiose.

 

Circa l’autodistruzione culturale dell’occidente, quali speranze nutre per il futuro?

Credo che si debba imparare a vivere. Vivere significa prima di tutto non mancare di amore per la vita, per la cultura, per la democrazia. Si deve essere consapevoli innanzitutto del bene ricevuto e fatto. Non dobbiamo considerare l’occidente come un malato terminale. Al contrario, si deve amare la vita e vivere. Il messaggio del Natale richiama l’attenzione sull’ottimismo cristiano che consiste nel prendere coscienza dell’amore di Dio. Ma vi è anche un ottimismo laico che si palesa nella consapevolezza della grandezza dell’uomo, di tutte le qualità e ricchezze culturali, filosofiche e artistiche prodotte da una civiltà, in questo caso dalla civiltà occidentale. Occorre uscire da complessi di inferiorità che ci rendono privi di speranza e di luce.