Storia di Alce Nero, il Sioux che potrebbe diventare santo
La conferenza episcopale americana ha dato il via libera alla causa di beatificazione. Capo pellerossa e “uomo della medicina” nel 1904 venne battezzato e divenne diacono
Sant’Alce Nero il Sioux, che poi sarebbe in realtà San Cervo Nero il Lakota. Il nome originale dell’Uomo della Medicina per cui a Baltimora la Conferenza dei vescovi degli Stati Uniti ha avviato oggi la causa di beatificazione, era infatti Heȟáka Sápa, letteralmente tradotto in Black Elk. In Inghilterra “elk” è l’alce, ma negli Stati Uniti è il Cervus canadensis. L’errore fu fatto quando nel 1968 la Adelphi lanciò l’edizione italiana di “Black Elk Speaks Being the Life Story of a Holy Man of the Oglala Sioux” come “Alce Nero parla”. E il libro divenne un’icona sessantottina, ecologista e terzomondista.
Quanto a “Sioux”, è deformazione francese di un termine in ojibwe che significa “piccoli serpenti”. Una definizione che i Lakota o Dakota o Nakota – a seconda della differente pronuncia dialettale – considerano altrettanto insultante che quella di “zingari” per i nostrani rom e sinti. Tutt’ora forte di 170.000 unità, l’etnia Lakota è quella cui appartennero Nuvola Rossa, Cavallo Pazzo e Toro Seduto. Furono loro nel 1876 a sconfiggere Custer al Little Big Horn; furono loro nel 1890 a essere massacrati a Wounded Knee nell’ultima battaglia delle Guerre Indiane; sono ancora alcuni di loro che nel 2016 hanno iniziato la protesta contro l’oleodotto del Nord Dakota.
Nato il primo dicembre 1863 e morto il 19 agosto 1950 Alce Nero era cugino di Cavallo Pazzo, a 12 anni combatté al Little Big Horn, a 24 andò in Europa col circo di Buffalo Bill e a 27 fu ferito a Wounded Knee. Prima, però, a nove anni aveva avuto la visione che ne avrebbe fatto un Uomo della Medicina, mediatore tra il mondo degli Uomini e quello degli Spiriti. E in seguito nel 1904 sarebbe stato battezzato nella fede cattolica dai missionari gesuiti che dal 1887 si erano stabiliti nella sua riserva. Era il giorno di San Nicola, dal quale prese il nome di Nicholas Black Elk. E una volta battezzato non si limitò a diventare un devoto fedele, ma si fece diacono, evangelizzando a sua volta.
Nel 1931, però, Nicholas Black Elk fu contattato da John G. Neihardt: scrittore, poeta e antropologo dilettante. Il libro col racconto della sua vita che uscì nel 1932 all'epoca passò quasi inosservato (salvo allo stesso Alce Nero, che rimproverò l’autore in una lettera di aver taciuto del tutto la sua fede cattolica). Anni dopo fu però riscoperto da Carl Jung che, entusiasta, ne promosse la traduzione tedesca del 1955 (nel 1961 arriverà la ripubblicazione statunitense e quindi tutte le successive edizioni). A un tempo resoconto delle guerre indiane da parte dei vinti e accurata rivisitazione della spiritualità indiana, il libro influenzò in profondità tutto il movimento del western revisionista.
Nel 1993 l’antropologo e gesuita Michael F. Steltenkamp ha pubblicato un libro che in italiano si intitola “Alce Nero, missionario dei lakota” e che ha appunto riproposto con forza la cattolicità del personaggio, riportando a galla la polemica contro le “deformazioni” di Neihardt. Il New Yorker è invece andato a scovare la bisnipote Charlotte, che si proclama “pagana” e secondo cui Alce Nero avrebbe fatto concessioni solo esteriori alla cultura dell’uomo bianco, senza in realtà cambiare mai.
Un punto di vista intermedio è quello di Ross Enochs, docente di Scienze religiose al Marist College di New York, secondo cui Alce Nero aveva fatto una sintesi tra la fede dei suoi padri e quella cattolica. È un modello tipico dell’evangelizzazione gesuita, a partire da quei famosi riti cinesi che avevano ammesso la venerazione per Confucio e le preghiere in mandarino. I missionari avevano infatti accettato tutta quella parte della tradizione sciamanica che non era in marcato contrasto con il cattolicesimo, e perfino il rito di esporre le salme a cielo aperto adagiate su impalcature. Insomma, i gesuiti avevano permesso ad Alce Nero di diventare diacono rimanendo Uomo della Medicina. Oggi un gesuita, Papa Francesco, potrebbe farlo santo.