Complotti vaticani
L’inchiesta sui fondi del cardinal Maradiaga, callejero e giramondo, può azzoppare il piano riformista di Papa Francesco
Roma. Chissà se quando il Papa, lo scorso 21 dicembre, parlava di complotti e richiamava cardinali e funzionari della curia romana alla fedeltà, sapeva già quello che di lì a poco sarebbe uscito sull’Espresso e destinato a non passare inosservato. Stavolta, a finire al centro della scena, è – suo malgrado – uno dei più stretti collaboratori di Francesco, il cardinale Oscar Andres Rodríguez Maradiaga, l’uomo cui Bergoglio ha affidato il coordinamento del C9, la consulta dei nove cardinali che – a fatica e con tempi eterni degni della miglior tradizione della chiesa – sta ponendo le basi per la riforma della curia e della governance vaticana. E, come in ogni Vatileaks che si rispetti, è sempre questione di soldi. L’accusa: aver ricevuto per diversi anni 35 mila euro al mese (con un una “tredicesima” pari a 54 mila euro) dall’Università cattolica di Tegucigalpa. Non solo, perché nel mirino dell’inchiesta aperta dalla Corte dei Conti dell’Honduras c’erano anche gli investimenti milionari riferibili all’arcivescovo “in società londinesi poi scomparse nel nulla”. Tutto da capire, poi, il ruolo del vescovo ausiliare della capitale, Juan José Pineda, l’uomo cui Maradiaga affida la diocesi durante i suoi frequenti e lunghi tour in giro per il mondo. Il Vaticano ha confermato a ridosso del Natale che effettivamente un’indagine ordinata dal Papa è stata compiuta mesi fa e che il dossier preparato dall’inviato della Santa Sede è sul tavolo di Santa Marta.
La vicenda fa rumore perché trattasi di Maradiaga, cioè dell’ex presidente di Caritas internationalis, che della lotta alla povertà e della difesa degli ultimi ha fatto una bandiera, arrivando perfino a organizzare concerti con Bono Vox – il cardinale è un suonatore provetto di sax – per chiedere l’azzeramento del debito dei paesi del Terzo mondo. Lui si difende, ha perfino attivato un account Twitter per farlo. Si dice innocente, grida al complotto e spiega che il Papa l’ha già chiamato rinnovandogli stima, affetto e apprezzamento per il lavoro compiuto – Bergoglio avrebbe espresso dispiacere “per tutto il male che hanno fatto contro di te”, aggiungendo un chiaro “tu però non ti preoccupare”. Niente di strano: Francesco, nell’ampia intervista concessa alla Civiltà Cattolica nel 2013, spiegava che “quando affido una cosa a una persona, mi fido totalmente di quella persona. Deve fare un errore davvero grande perché io la riprenda”. In un colloquio con Avvenire, Maradiaga sostiene che il vero obiettivo dell’operazione mediatica sono Francesco e le riforme, che ogni ombra è stata allontanata da tempo e che però sì, quei soldi in effetti sono passati dall’Università cattolica di Tegucigalpa alla diocesi. Un passaggio insolito (normalmente accade il contrario, la diocesi aiuta le università), ma secondo il cardinale ampiamente giustificato e motivato (“per i seminaristi e per i sacerdoti di parrocchie rurali che non hanno quasi risorse”), ha sottolineato.
Con Bono e il sax per i poveri
Al di là della vicenda in sé, l’elemento rilevante è che per la prima volta nel quinquennio bergogliano la parola “scandalo” viene usata in relazione a uno dei principali artefici del progetto di riforma, uno dei cardinali più attivi (e mediaticamente esposti) nel denunciare le cospirazioni degli oppositori che vorrebbero preservare lo status quo e impedire all’aria fresca di entrare nelle vecchie stanze del Vaticano. Maradiaga, alla vigilia del Sinodo, se la prese con l’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller definendolo un “professore tedesco” che vede solo il bianco e il nero. Azzoppare Maradiaga significa mirare in alto, allo stretto entourage papale. Maradiaga non è Pell, scelto sì da Francesco ma da sempre considerato estraneo ai collaboratori più vicini al Papa, come dimostrano le posizioni del porporato australiano al Sinodo sulla famiglia. Il cardinale honduregno – che proprio ieri, compiendo settantacinque anni, ha inviato la lettera in cui rimette il mandato di arcivescovo di Tegucigalpa, in attesa della decisione papale – è uno dei promotori della rivoluzione all’insegna della trasparenza, nonché l’araldo titolare della chiesa callejera. Al di là della cortese telefonata post natalizia di Francesco.