Perché, caro Spadaro, la tradizione del cristianesimo non è una prigione
Un’educazione bella, liberatrice, bergogliana lascerà in bocca agli adolescenti il bel ricordo di un bravo insegnante e l’idea di una chiesa svolazzante, versatile, moderna, ma sostanzialmente inutile
Oltre che un buon lettore e critico di letteratura, e altre cose, Andrea Monda è un professore di religione, razza in via di estinzione, in un liceo. Padre Antonio Spadaro S. I. è il direttore di Civiltà Cattolica e uno dei bracci armati della comunicazione di Francesco. Paolo Ruffini è il direttore della Televisione del Papa e dei vescovi italiani, che compie vent’anni. Hanno presentato a Roma un libro di Monda (“Buongiorno professore!”, edizioni elledici, 9 euro), rielaborazione di una sua fortunata trasmissione televisiva al terzo anno di storia con buon successo di pubblico alla domenica mattina (ore 9 e venti). Io c’ero, alla presentazione, in un locale spoglio e affollato contiguo alla parrocchia di San Roberto Bellarmino, e chissà che ne avrebbe pensato quel tipaccio di teologo e cardinale che si accanì contro Giordano Bruno e cercò di evitare guai troppo seri a Galileo Galilei, ma senza cedere sul punto di letteralismo biblico allora in discussione tra scienziati e teologi. Chissà. Bellarmino è sepolto nella chiesa di Sant’Ignazio in Roma, è venerato dalla Compagnia e dalla Chiesa universale sebbene smentito da Papa Giovanni Paolo II, oltre che dall’evidenza del pensiero scientifico e dall’affermarsi del libero pensiero. Un mio amico dice che non vuole andare in paradiso per non incontrare proprio lui, Bellarmino. Io invece sarei molto curioso di sentire la versione di san Roberto.
Sono dell’avviso che Spadaro, Monda e Ruffini si sbaglino, con tutto il rispetto loro dovuto e ammettendo che è bello vivere in un mondo ottimistico e liberale che è il loro di cristiani diciamo così avanzati e virtuosi secondo i criteri etici del secolo invalsi ormai da parecchio tempo. Eppoi Monda è un mostro di simpatia e di buon vivere. Perché si sbaglino, lo dico con semplicità. Per loro l’insegnamento della religione è anche e sopra tutto un apprendimento del docente, oltre che del discente, la libertà soggettiva di chi viene a lezione va rispettata, citano la pedagogia di Bergoglio, quando era arcivescovo a Baires, fondata sull’idea che quelle creature anarchiche che sono i giovani non vanno addomesticate, citano don Milani, famoso per la scuola di Barbiana e per una vita liberatrice e però controversa di apostolo della disobbedienza e della lotta di classe. L’insegnamento del cristianesimo non è l’occupazione di uno spazio, è l’innesco, dicono, di un processo. E mi va anche bene, benissimo, che si usino tecniche di avanguardia o comunque trasversali e letterarie, in una mescolanza di alto e basso sintomaticamente postmoderna, mettendo tutto tra virgolette. Però quando dicono che bisogna guardarsi dal clericalismo, mi sento prete. Quando dicono che bisogna guardarsi dalla prigionia della tradizione, mi sento tradizionalista. Quando parlano del professore discente, come si fa con acume e spirito nel libro di Monda, mi sento un grande o piccolo catechista (Bellarmino elaborò due catechismi, di cui il piccolo era modellato in senso controriformista su quello di Lutero).
Penso che alla fine si debbano guidare gli allievi in un’ora di religione, che li si debba attrarre con i misteri e le avventure della Rivelazione, che li sovrasta tutti, discenti e docenti, e delle scritture, che gli si debba spiegare, proprio spiegare, docere, addomesticandone lo spirito anarchico originario, che cosa sono i dogmi, se possano evolvere nel tempo e in che misura, perché l’impalcatura dottrinale dei cristiani nei secoli rigurgita di errori e di verità, di orrori e di fulgide bellezze, e perché l’obbedienza è una virtù, l’esercizio dell’autorità è consustanziale a quello della libertà, e sul carattere degli umani, anche alla luce dello straordinario racconto della Genesi sul peccato originale, suggerire si debba diffidare con razionalità. Agli studenti non va proposto quel che pensano di sapere o di poter sapere con facilità e senza riserve, non vanno messi di fronte a una sfilza di domande che vengono da loro accompagnate da risposte senza titolare, la maieutica non è questa né in Socrate né in Plutarco, è un metodo non una sostanza intellettuale, devono essere ammaestrati, letteralmente, al mistero, alla curiosità intellettuale e alla gioia di pensare oltre i limiti della ragione, alle cose non viste e a quelle sperate. Una educazione bella, liberatrice, bergogliana, una formazione informale che punti al sapore facile e consentaneo col mondo della cultura corrente fa riscontro a una resa, qualcosa che lascerà in bocca agli adolescenti un bel ricordo di un bravo professore di religione, anzi bravissimo come nel caso di Monda docente e scrittore, e l’idea di una chiesa svolazzante, versatile, moderna, compatibile, ma sostanzialmente inutile e incapace di contraddirli con esperienza e sapere in ciò che non sanno e non potranno mai veramente conoscere, che è molto.
Cinquanta anni fa, nel 1968, il nostro professore di storia ci disse, per trovare una sintonia con noi adolescenti creature anarchiche, che avrebbe saltato il programma dell’anno, riassumendolo nelle tre rivoluzioni, americana francese russa. Gli dissi, ma scusi, la selezione poi la facciamo noi, lei ci racconti la storia tutta. Grazie.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione