Quant'è pericoloso lo scontro tra i cristiani di Terra santa e Israele
Chiuso il Santo Sepolcro anche con il placet dei francescani. Un gesto di protesta contro la decisione dell’amministrazione locale
Roma. Da domenica il Santo Sepolcro a Gerusalemme è chiuso e non si sa quando riaprirà. Non era mai accaduto prima nella sua bimillenaria storia. Un gesto di protesta contro la decisione dell’amministrazione locale – presa dal sindaco Nir Barkat in persona – di chiedere il versamento di 151 milioni di euro di tasse attraverso la tassazione di 887 proprietà delle chiese presenti in loco e di organismi delle Nazioni Unite, tra cui l’Unrwa che gestisce l’assistenza ai profughi palestinesi. Davanti alle porte sbarrate del Santo Sepolcro sono comparsi Teophilos III, patriarca greco-ortodosso, Nourhan Manougian, patriarca armeno e padre Francesco Patton, custode di Terra santa. I tre hanno firmato un comunicato dai toni inusualmente duri, in cui definiscono la decisioni israeliana una “flagrante violazione dello status quo esistente”, una decisione che rientra “nella campagna sistematica di abusi contro le chiese e i cristiani” che “ora raggiunge il suo apice con questo disegno di legge discriminatorio e razzista che mira unicamente alle proprietà della comunità cristiana in Terra santa”. Sulla facciata della basilica è issato un grande poster dove si legge “quando troppo è troppo” e “stop alla persecuzione delle chiese”. Il tutto, tra l’altro, mentre il Colosseo a Roma veniva illuminato di rosso in memoria dei martiri cristiani perseguitati per ragioni di fede.
La misura – che secondo i tre rappresentanti cristiani viola “ogni accordo esistente e gli obblighi internazionali che garantiscono i diritti e i privilegi delle chiese” – è “ripugnante” e ricorda “le leggi di natura simile emanate contro gli ebrei durante i periodi bui in Europa”. Una campagna punitiva (così nel testo) che ha determinato “scandalosi avvisi di pagamento e blocco di beni, proprietà e conti bancari della chiesa” e che è arrivata fino alla Knesset, il parlamento israeliano, dove è stato presentato un disegno di legge che prevede di poter espropriare le terre vendute dalle comunità religiose ai privati dopo il 2010.
Il testo è stato tradotto e pubblicato integralmente sull’Osservatore romano, il che rende la questione ancora più delicato, considerando anche il pieno coinvolgimento della Custodia di Terra santa.
Screzi pesanti con le autorità civili locali s’erano già avuti nel recente passato in merito alla ripartizione dei fondi per le scuole. Lo scorso settembre, il Patriarcato latino di Gerusalemme aveva lamentato il mancato versamento alle scuole cristiane del previsto importo pari al 75 per cento di quello versato alle scuole pubbliche. “Lo stato – si leggeva nella nota del Patriarcato – non rispetta questi impegni e le scuole cristiane ricevono solo il 25 per cento di tale importo”. Non solo, visto che si metteva in risalto anche il differente trattamento riservato ai docenti delle scuole pubbliche rispetto a quelli degli istituti cristiani, con questi ultimi che “non godono degli stessi diritti in caso di congedo per malattia”. Il disegno di legge, hanno spiegato i rappresentanti delle tre confessioni, sembra finalizzato a indebolire progressivamente la presenza cristiana nel paese. Il sindaco di Gerusalemme però non ci sta a passare da novello Nerone e ha domandato se “abbia senso che ci siano aree commerciali che hanno alberghi e negozi ma che non pagano tasse solo perché di proprietà della chiesa”, aggiungendo: “Non permetterò che siano i cittadini di Gerusalemme a colmare questo debito”.
Il tutto si inserisce nel complesso negoziato, che va avanti ormai da anni, tra la Santa Sede e Israele per regolare lo status giuridico della chiesa cattolica in loco e dirimere le controversie fiscali. Da entrambe le parti, negli ultimi mesi, si era manifestato ottimismo circa un positivo esito dei colloqui, ma la novità di domenica davanti al Sacro Sepolcro con la chiamata in causa delle persecuzioni antiebraiche praticate in Europa nel passato potrebbero rendere il terreno assai più sdrucciolevole.