Il futuro del cristianesimo in Cina
Una religione ligia ai precetti di Xi e adattata al socialismo. Così la Civiltà Cattolica traccia la strada all'intesa con il Vaticano
Roma. Per comprendere gli sviluppi che potrà avere nei prossimi anni l’accordo in dirittura d’arrivo tra la Santa Sede e la Cina è quanto mai utile sapere cosa si aspetta Pechino dalle confessioni cristiane presenti nell’immenso paese orientale. E’ una questione che va ben oltre i codicilli che regoleranno le nomine dei vescovi e le strutture dei luoghi di culto: si tratta di capire quanto il cristianesimo può (e vuole) “sinizzarsi”, assumere cioè “un orientamento cinese”. Ne ha scritto sull’ultimo numero della Civiltà Cattolica il gesuita Benoît Vermander, docente all’Università Fudan di Shanghai.
Vermander parte dal fatto che “negli ultimi tre anni la leadership cinese ha ripetutamente richiesto alle religioni presenti nel territorio cinesi di sinizzarsi (zhongguohua)” e che a farlo, da ultimo, è stato Xi Jinping in persona, nella relazione tenuta al recente Congresso del Partito comunista: “Noi sosterremo il principio che le religioni in Cina devono avere un orientamento cinese, e forniremo una guida attiva alle religioni, in modo che possano adattarsi alla società socialista”. Il che, però, determina diversi problemi, facendo subito intravedere più d’una nube sulla possibilità che le religioni – e il cattolicesimo nel caso di specie – possano godere anche di una minima libertà nei vari ambiti in cui si sviluppano. Mentre dalla chiesa di Yining, nello Xinjiang, venivano divelte le croci, cancellate le decorazioni esterne e fatte sparire tutte le immagini della Via Crucis (le foto diffuse su internet ricordano il passaggio di una falange del Califfato islamista più che l’applicazione di un legale provvedimento delle autorità comuniste statali), c’era già chi faceva proprie le parole di Xi Jinping. L’Associazione taoista aderiva ai desiderata presidenziali per contribuire alla “realizzazione del sogno cinese”.
A questo punto, nota Vermander, è chiaro che “rendere più cinesi le religioni non vuol dire semplicemente sviluppare un rituale locale e una prospettiva dottrinale, ma in primo luogo aderire alla definizione di cultura cinese proposta dalla stessa relazione del presidente Xi al XIX Congresso” e si tratta di “una definizione di natura politica”. Se questi sono orientamenti generali teorizzati da Xi Jinping novello leader eterno, l’applicazione degli stessi è resa più chiara dall’approfondita documentazione che di recente è stata distribuita in occasione di seminari ed eventi: sinizzazione significa che i fedeli devono seguire la leadership del partito e aderire ai valori socialisti. “E’ su questa base che devono operare, avendo come obiettivi più valori religiosi cinesi, più simboli religiosi cinesi e una maggiore pratica della fede cinese”. Il tutto in concomitanza con l’applicazione di regole più restrittive circa la pratica religiosa e “con una nuova accentuazione del ruolo di guida del partito in tutti gli aspetti della vita sociale e culturale”, nota il docente dell’Università di Fudan. Il problema, si legge sulla Civiltà Cattolica, è che un’eventuale reazione a questi paletti avrebbe conseguenze nefaste ed è preferibile “ascoltare tale appello ed esaminare quali cambiamenti esso potrebbe far loro immaginare e realizzare, pur restando profondamente consapevoli dei pericoli che si possono creare”. Soprattutto ora che l’appello di Xi Jinping “è ben lontano dall’essere chiaramente definito”. La situazione è fluida e sarebbe ingenuo pensare che all’indomani della firma dell’accordo – che il direttore della rivista Il Regno, Gianfranco Brunelli, ha definito caratterizzato da “parzialità e provvisorietà”, nonostante lo consideri “il miglior accordo possibile” – si assisterà a una “primavera” nei rapporti sino-vaticani. Ma, scrive Vermander sulla Civiltà Cattolica, “la fede cristiana deve necessariamente affrontare dei rischi” e considerato che si ha a che fare con le autorità cinesi – “che stanno suscitando preoccupazioni all’interno degli ambienti religiosi (e non solo) con il loro tentativo di sostenere quella che si potrebbe definire una nuova ‘religione civile’” – è consigliabile dimostrare coraggio “per ascoltare, dialogare, lasciarsi sfidare dall’altro, immergersi nella comunità umana a cui si appartiene”. Insomma, cedere un po’ e adeguarsi sperando in un futuro migliore.
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