La chiesa dopo il voto e quell'alleanza tra Pd e M5s che non dispiace
Il voto ha bocciato la linea della chiesa su migranti e lavoro. Avvenire: va bene tutto ma non nuove elezioni
Roma. I commenti dei vescovi alle elezioni politiche di domenica scorsa si contano sulle dita di mezza mano. Pochi parlano, se non per dire – come ha fatto il vescovo di Macerata, mons. Nazzareno Marconi – che “la Lega qui ha vinto perché ha presentato un candidato del territorio” e non un parvenu calato dall’alto delle segreterie di partito romane. Il clima è quello dell’attesa che le bocce si fermino prima di azzardare un’analisi di un voto che ha premiato quelle forze populiste che a leggere la prolusione di gennaio del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, erano l’ultima soluzione auspicabile per il futuro del paese. Anche perché su immigrazione e lavoro – per citare due temi cari alla chiesa – le distanze tra Movimento 5 stelle e Lega da una parte e Conferenza episcopale dall’altra restano siderali. E’ sufficiente ricordare che la riflessione di Bassetti era articolata attorno a tre verbi: ricostruire (la speranza), ricucire (il paese), pacificare (la società). Non proprio un manifesto a sostegno dell’asse gialloverde che ha conquistato la penisola.
Prudenza dovuta anche alla necessità di leggere bene il responso delle urne, che hanno sì bocciato – per dirla con la tv dei vescovi – “quelle liste che si presentavano esplicitamente come cattoliche ma che di certo non hanno premiato la linea dell’accoglienza integrale rispetto ai migranti e dell’opposizione al reddito di cittadinanza – “lavoro per tutti, non reddito per tutti”, aveva detto il Papa – portata avanti dalla chiesa italiana. Ora serve responsabilità, scrive Leonardo Becchetti nell’editoriale di Avvenire pubblicato mercoledì in prima pagina. E’ necessario fare tutto il possibile, studiare ogni alchimia per evitare il ritorno alle urne, ché “non possiamo aspettare cinque anni per prenderci una qualche rivincita”: “Abbiamo bisogno di una guida salda e saggia del nostro paese in una stagione decisiva come quella che ci aspetta”. E non è tempo di idealismo, bensì di sano realismo: “Bisognerà accontentarsi di quanto sarà possibile estrarre dal Parlamento senza maggioranza omogenea”. Secondo il quotidiano dei vescovi, se si guardasse la sostanza al di là della logica del conflitto permanente, “ci si potrebbe accorgere che le differenze su alcuni punti fondamentali non sono così enormi ed è possibile individuare con assoluta trasparenza un minimo comune denominatore programmatico su argomenti di potenziale e sano interesse convergente.
Becchetti, con uno slancio di apprezzabile ottimismo, sostiene che sul fronte del rafforzamento della rete di protezione universale per chi si trova sotto la soglia di povertà “le differenze tra Cinque stelle, Pd e centrodestra sono più che altro di facciata” e insomma un’intesa è possibile. Dopotutto, “esiste una piattaforma accettabile piuttosto ampia e ci sono persino le condizioni per battere sul tempo i tedeschi e dar vita in poche settimane a un governo utile all’Italia e agli italiani”. L’importante, aspetto questo che Avvenire sottolinea più volte, è che non si torni a votare.
In un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, il canale televisivo della Cei, padre Francesco Occhetta – scrittore “politologo” della Civiltà Cattolica – ha osservato che “la legge elettorale invece di premiare la governabilità ha premiato la rappresentatività. Per questo saranno necessarie le alleanze tra forze molto diverse da loro”. E la prima soluzione che andrebbe perseguita, se non altro per un mero ragionamento logico, è un’intesa tra il Movimento 5 stelle e il Partito democratico: “Se la seconda linea del Pd, incluso Gentiloni, sceglierà per il bene del paese di accordarsi con il M5s su punti concreti per dare un governo al paese e cambiare la legge elettorale, questo potrebbe essere il primo scenario” che vedremo attuarsi nelle prossime settimane. Possibilità ridotte, invece, per un cartello Di Maio-Salvini: “Questo accordo è difficile perché sono entrambi protagonisti e uno non potrà cedere all’altro la narrazione dell’opposizione perché li farebbe diventare poco credibili di fronte all’elettorato”.
In Vaticano l’unico commento pubblico è quello del segretario di stato, il cardinale Pietro Parolin che implicitamente ha confermato lo scollamento tra quanto la chiesa predica e il comportamento dei cattolici quando sono chiamati alle urne, sia che a fornire un orientamento siano (ad esempio) i più “aperturisti” sul fronte dell’immigrazione, sia che a farlo siano i “movimentisti”, sostenitori di una presenza attiva in difesa dei cosiddetti valori non negoziabili. “L’importante – ha detto sul primo aspetto Parolin – è riuscire a educare la popolazione a passare da un atteggiamento negativo a un atteggiamento più positivo nei confronti dei migranti. La chiesa continuerà a farlo”.
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