Il fallimentare quinquennio bergogliano
Il Papa che voleva riconquistare il mondo con mezzi secolaristi e un linguaggio sprezzante verso la tradizione cattolica si è trovato in una impasse evidente. Il pasticcio sul testo di B-XVI è solo il sigillo finale
A cinque anni dall’elezione il bilancio del pontificato di Bergoglio è negativo. Sembrava si fosse volatilizzata la fatale campagna sulle responsabilità del clero e dell’episcopato nei casi di pedofilia e di abuso, invece si è rinfocolata, come dimostrano tra gli altri il caso cileno e quello australiano, dove il numero due o tre del Vaticano, chiamato da Francesco a sorvegliare e riformare le finanze, è costretto a difendersi, sospeso dalle sue funzioni. Gli strumenti approntati per fronteggiare la crisi sono finiti in pezzi con una sequela di dimissioni e, in un caso, con l’aperta dissociazione del potente cardinale di Boston, il cappuccino O’Malley, dalla linea del Pontefice (cappuccini e gesuiti hanno una lunga storia di conflittualità parossistica). Incombe come un fantasma la visita pastorale in Irlanda.
I mutamenti sul fronte dell’organizzazione curiale e finanziaria sono considerati irrisori, e financo dichiarati impossibili, “è come ripulire la Sfinge con uno spazzolino da denti”, dal Papa e dal suo entourage, mentre il comitato cardinalizio detto C9 o governo della chiesa riformanda è in stato di crisi conclamata. Il segretario di stato Parolin, persona competente, ha registrato successi tecnici ma tutti sulla linea della più cinica Realpolitik d’apparato. L’operazione cubana è naufragata con l’elezione di Trump, di per sé uno schiaffo all’imprudenza discutidora di Bergoglio che lo aveva definito non-cristiano durante la campagna elettorale di un anno e mezzo fa. L’incontro ecumenico con il Patriarca russo, all’Avana, ebbe per risultato un documento di tono tradizionalista sul piano dottrinale, che contraddice la sostanza della pastorale bergogliana.
La questione del ruolo dello stato comunista cinese nella nomina dei vescovi o dell’acquiescenza vaticana alle nomine già fatte nel segno della chiesa nazionale o patriottica ha sollevato obiezioni disperate, a livello cardinalizio, nel segno del tradimento del martirio, cioè dell’estrema testimonianza cristiana. Non parliamo della tragedia siriana, a partire dai digiuni di pace e dalla lettera a Putin, dove la politica irenista vaticana si è compromessa con le risultanti del grande massacro e con lo sradicamento violento e persecutorio delle comunità cristiane della regione mediorientale.
Gli evangelici americani, che sono parte di un fenomeno in espansione a macchia d’olio delle varie forme di protestantesimo nelle due Americhe, sono stati imprudentemente bollati come attori, di concerto con i tradizionalisti europei, di un “ecumenismo dell’odio”, in un articolo superficiale e pretenzioso dell’ideologo in capo di Francesco, il gesuita Spadaro. Il Papa preso dalla fine del mondo sorvola l’Argentina, il suo paese natale e teatro della sua complessa e discussa formazione di gesuita, senza degnarsi di rendere visita agli argentini interdetti.
L’enciclica Laudato si’ dedicata all’ecologia e scritta verbosamente in termini trattatistici di tipo parascientifico non ha avuto risonanza o influsso specificamente teologico o pastorale, ed è diventato un documento controverso anche alla luce della complicata evoluzione del tema nel mondo dopo la Conferenza di Parigi, oggi in crisi nei suoi risultati. Il linguaggio neoclassista di molti pronunciamenti papali, e la sua spinta evangelica all’accoglienza generalizzata, appaiono come un manifesto di sensibilità e idee solidariste in conflitto con il realismo di molti episcopati e con i dati irrefutabili dello sviluppo mondiale, si riducono a parte della crisi populista del pensiero contemporaneo, per non dire del profetismo equivoco in tema di teologie della liberazione.
Alla disdetta virtuale della Humanae vitae, l’enciclica drammatica di Paolo VI sulla coscienza cattolica in relazione alla vita umana nel mondo dell’aborto e della contraccezione, corrisponde come segno di contraddizione, perfino nella Francia ultrasecolarizzata una campagna di ascolto e mobilitazione dell’episcopato gallicano, oggi in corso, per impedire esiti modernisti in materia di ingegneria genetica, di eutanasia e di suicidio assistito. Su famiglia, matrimonio e omosessualità le conclusioni dell’esortazione apostolica Amoris laetitia hanno imbrogliato le cose concedendo molto all’episcopato tedesco protestantizzante, ma senza risolvere in senso riformatore le questioni sociali e acuendo il ritmo e la sostanza delle “correzioni filiali” a quello che si percepisce, in ambienti del Collegio cardinalizio e altrove, come uno strafalcione dottrinale riguardante la lettera e lo spirito dell’insegnamento evangelico e biblico. L’ultimo pasticcio sul testo di Benedetto XVI in materia di teologia bergogliana, un caso da manuale di confusione al vertice su temi ultrasensibili, nel regime inedito della doppia pontificalità e di un munus carismaticamente condiviso tra due eletti vestiti di bianco, è solo il sigillo finale di un quinquennio da dimenticare. Il catalogo è questo, e molto si potrebbe aggiungere.
Il Papa che voleva riconquistare il mondo con mezzi secolaristi e un linguaggio sprezzante verso la tradizione cattolica si è trovato in una impasse evidente. I suoi, che lo vorrebbero assai più radicale e non capiscono le sue incertezze sulla fine del celibato ecclesiastico o l’ordinazione di donne, come non capiscono la nomina a Parigi di un medico entrato tardi nel sacerdozio e attento alle questioni di bioetica e di continuità dottrinale, insomma i bergogliani che volevano l’attuazione del Concilio Vaticano II inteso come elemento di rottura profetica e di riconciliazione della chiesa con il moderno e il contemporaneo, dicono a sua difesa e a loro stessa difesa che il cambiamento è in marcia, la sua direzione pastorale è chiara nella profezia e nella cosiddetta teologia del popolo, che è quel che conta al di là dei fatti e della guida ordinaria della chiesa. Propongono come unico metro di misura l’evangelismo, fingendo di non sapere che per sua fortuna il Vangelo è un libro esposto da secoli al pluralismo delle interpretazioni e a diversi approcci di fede e di cultura, sempre più frammentate nell’epoca del soggettivismo e dell’individualismo credente. Se non bastino profezia e Vangelo intesi in modo indeterminato, se si ritenga importante un punto di vista cattolico, allora il catalogo dei fatti è quello, quello è il bilancio di un vescovo di Roma a cinque anni dalla sua elezione.
Vangelo a portata di mano