La fatale fake news: si dimette mons. Viganò
Dopo la censura della lettera di B-XVI, il capo delle comunicazioni vaticane lascia con la benedizione papale
Roma. Il prefetto della segreteria per le Comunicazioni della Santa Sede, mons. Dario Edoardo Viganò, si è dimesso dopo il pasticcio della lettera di Benedetto XVI censurata. Papa Francesco, seppure “non senza qualche fatica” e “dopo avere a lungo riflettuto e attentamente ponderate le motivazioni della richiesta”, ha preso atto e accettato le dimissioni riservandosi di nominare al più presto un sostituto chiamato a guidare tutti i media vaticani (si fa il nome di mons. Paul Tighe, irlandese e attuale segretario del pontificio consiglio per la Cultura). La situazione non era più sostenibile. L’aver emendato una lettera di un Pontefice (seppure emerito), selezionando con cura i paragrafi da leggere e diffondere alla stampa e omettendo quelli più problematici, aveva creato più di un imbarazzo oltretevere.
Il caso era scoppiato sabato mattina, quando l’edizione online del Foglio rivelava che oltre a quanto letto da mons. Viganò e diffuso dalla Sala stampa vaticana c’era un altro paragrafo nascosto della lettera di Ratzinger nella “foto artistica” (così l’ha definita la segreteria per le Comunicazioni) fatta circolare sui canali ufficiali, in cui le parti più dure del testo del Pontefice emerito erano nascoste da una catasta di libri e rese illeggibili con ritocchi grafici. Si trattava della motivazione per cui Benedetto XVI non intendeva, né ora né mai, leggere gli undici “volumetti” sulla teologia di Papa Francesco. Nel pomeriggio, dopo un iniziale “no comment”, il Vaticano decideva di rendere pubblico il testo integrale, con una motivazione che risultava essere una toppa peggiore del buco: “Per dissipare ogni dubbio si è deciso di rendere nota la lettera nella sua interezza”. Le parole di Ratzinger erano chiare e l’imbarazzo era comprensibile: “Solo a margine – scriveva Benedetto – vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori figuri anche il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative antipapali. Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della ‘Kölner Erklärung’ (la dichiarazione di Colonia del 1989 che metteva all’indice il pontificato di Giovanni Paolo II, ndr), che, in relazione all’enciclica Veritatis splendor, attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la ‘Europäische Theologie gesellschaft’, che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale”. A complicare il quadro, il fatto che la lettera – inviata in risposta a una richiesta di redigere una “breve e densa pagina teologica” – fosse “riservata e personale” e quindi non destinata a essere letta e tanto meno diffusa alla stampa. A maggior ragione con tagli e omissioni ben ponderati per far passare il messaggio che Benedetto entrasse nel campo di battaglia tra cosiddetti bergogliani e antibergogliani schierandosi dalla parte del successore lodandone la teologia. Che il Papa emerito abbia sottolineato la necessità di superare “lo stolto pregiudizio” che vorrebbe Francesco essere “solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica e filosofica” è vero, ma da nessuna parte è presente un’adesione ai fondamenti di tale teologia. E infatti, nel paragrafo che non era stato letto Ratzinger si diceva meravigliato per la scelta di far elogiare il Pontefice da un teologo che per decenni ha combattuto la stessa istituzione del papato.
La sostituzione di mons. Viganò rende palese l’enorme difficoltà in cui si trova lo spirito riformatore del pontificato di Francesco. Mentre la consulta dei nove cardinali fatica dopo cinque anni a proporre un testo che indichi come aggiornare le strutture curiali, due dei pilastri del nuovo corso – ideati ex novo – si trovano senza vertici. La segreteria per l’Economia da mesi è senza prefetto (il cardinale George Pell), tornato in Australia per difendersi nel processo in cui è imputato per pedofilia. Ora anche il dicastero per le comunicazioni, da poco lanciato, resta vacante.
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