Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente delle Conferenze episcopali europee (foto LaPresse)

Vescovi & elezioni

“La supponenza intellò ha favorito i populismi”. Parla il card. Bagnasco

Matteo Matzuzzi

Sull’immigrazione la chiesa “ha fatto fatica”. I politici cattolici “siano più presenti e coerenti sui temi morali”

Roma. Davanti al risultato elettorale italiano dello scorso 4 marzo, con la vittoria del fronte populista e antieuropeista, più che scandalizzarsi sarebbe utile “cogliere le radici, il perché si verificano certi fenomeni”, dice al Foglio il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente delle Conferenze episcopali europee, per dieci anni e fino allo scorso maggio numero uno della Cei. “In qualunque zona del nostro continente deve essere superato un atteggiamento interiore che genera comportamenti scorretti dei quali prima o poi si paga il prezzo. E’ un atteggiamento di supponenza intellettuale a cui consegue facilmente un comportamento arrogante. Per supponenza – dice Bagnasco – intendo che non si può non prendere in considerazione seria quanto avviene nel tessuto della società. Ogni episodio che si verifica nel tessuto della società, in campo economico e finanziario deve essere non solo registrato, ma anche letto. E non con un’aria superiore, come si trattasse di qualcosa da nulla, di posizioni sempliciotte o puramente strumentali”. Sul populismo, il cardinale ritiene che esso “contenga sì l’espressione di un disagio molto forte e diffuso”, ma pensa altresì che “questo disagio si può trasformare in risentimento e quindi in antipolitica, rifiuto. E questo è altrettanto grave. Per questo il fenomeno populista va considerato in modo serio. Io so che a livello di Unione europea quanto avvenuto il 4 marzo in Italia è stato avvertito, forse per la prima volta, in tutta la sua forza e in maniera realista. Da qui deve partire una riflessione seria per cogliere le motivazioni e per guardare avanti”. Il voto ha anche mostrato un certo scollamento tra quanto la chiesa predica e quanto poi i cattolici fanno nel segreto dell’urna. Si prendano due temi che bene erano stati evidenziati dal cardinale Gualtiero Bassetti, attuale presidente della Cei, il lavoro e l’immigrazione. Proprio su quest’ultimo punto la posizione delle gerarchie sembra essere stata “punita”, con il trionfo al nord della Lega. “Di fronte a situazioni nuove e inedite come quella dell’immigrazione – dice Bagnasco – l’atteggiamento di principio è quello del Vangelo. Accoglienza, come più volte il Papa ha detto fin da subito. Questa è la posizione dalla quale nessun cristiano dovrebbe prescindere. Sul piano poi della traduzione degli indiscutibili princìpi evangelici, bisogna capire la portata dei fenomeni. E questo è stato talmente nuovo che tutti abbiamo fatto fatica. Ci voleva impegno, il fenomeno era notevole per mole e durata e per complessità. Poi il Papa ha parlato di accoglienza ma anche di integrazione, e le due cose sono molto diverse: la prima, l’accoglienza, è chiaramente più semplice”. 

 

La situazione però sta migliorando, “con una lettura più precisa delle situazioni, molte diocesi sono riuscite ad attuare vie di integrazione basate su cultura, casa e lavoro. Il messaggio secondo me sta passando, benché con timori che sono assolutamente comprensibili”.

  

E il centro moderato, che fine ha fatto? Si è dissolto, diluito nelle ali estreme? “No”, dice sicuro il cardinale Bagnasco. “Un conto è l’animo del popolo italiano, altro sono le circostanze storiche nelle quali il popolo deve vivere concretamente. Sotto il profilo del sentire profondo della nostra gente, ritengo che il popolo italiano sia ancora sostanzialmente moderato. Però ci sono anche le circostanze in cui da anni deve vivere e camminare, e mi riferisco a questi anni di crisi che a mio parere non è affatto terminata. L’animo non cambia, ma le ferite nella carne viva delle famiglie, dei giovani, delle persone adulte che hanno perso il lavoro e non lo trovano più lasciano il segno. Sono due piani spiritualmente distinti”, aggiunge l’arcivescovo di Genova: “Uno più profondo, che è quello storico-culturale, l’altro che è più superficiale ma non meno incisivo che è quello del disagio e della preoccupazione per sé e i propri figli”. Bagnasco ricorda l’importanza dell’impegno dal basso e nonostante tutto vede un movimento, una ripartenza: “Rispetto ad anni addietro qualcosa si muove. A Genova, ad esempio, sono già alcuni anni che è attiva una scuola di dottrina sociale e politica che regge molto bene, con 150 iscritti, tutti sotto i 40 anni. E parecchi di questi hanno partecipato in prima persona alle elezioni. Penso che la disaffezione radicale, lo scoraggiamento, la sfiducia verso il mondo politico e i politici avessero fermato tutto. Non dico che oggi questa disaffezione non ci sia più, ma si esprime attraverso un voto di protesta. Anni fa ci si asteneva, era l’astensionismo che protestava. Oggi il segnale è cambiato e spero che il nuovo mondo politico – e intendo il Parlamento, non solo il governo che ci sarà – consideri seriamente la situazione, perché la gente è stremata, nonostante i segnali pur positivi che non mancano”. L’ex presidente della Cei invita poi a non “leggere malamente il voto espresso al centro-sud. Qualcuno lo interpreta come la voglia di essere mantenuti attraverso il reddito di cittadinanza. Quello è un voto di protesta perché ci sia uno scatto”.

 

Nei giorni successivi alle elezioni, più d’un presule ha fatto sentire la propria voce, chi lamentando uno scollamento tra la linea ufficiale delle gerarchie e chi teorizzando una “terza via” tra il collateralismo e il rischio d’irrilevanza. “Io – dice Bagnasco – ricordo quello che il Concilio ci ha insegnato in merito alla presenza dei cattolici nell’agone politico e in particolare quando afferma che dai medesimi princìpi cristiani possono scaturire opzioni storiche diversificate. Aggiunge però che le grandi opzioni storiche non devono tradire i princìpi di partenza. Insomma, la pluralità delle opzioni è legittima, basta che non si verifichi qusta negazione di fondo, altrimenti non abbiamo più la pluralità. Io credo che i cattolici abbiano dimenticato questo principio del Concilio, nel nome della disciplina dei partiti o forse – ed è peggio – in nome di interessi più particolari. Se fosse applicato questo principio, magari le carriere sarebbero meno sicure, ma la presenza dei cattolici più evidente. Nell’ultimo Parlamento, a proposito di certe scelte, abbiamo visto poco presenti i cattolici. Quando si deve dire sì o no su piani strettamente morali che riguardano il bene integrale della persona e quindi il bene reale della società, bisogna essere coerenti. Qui non ci possono essere compromessi”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.