Più che sui rosari, i pro-life irlandesi per il referendum puntano su Twitter
A maggio il voto per abrogare l’ottavo emendamento e rendere l’aborto costituzionale
Roma. Nel 1983, quando l’Irlanda andò al voto per l’ottavo emendamento che rese incostituzionale l’aborto, i comizi e le marce erano popolati da migliaia di persone con rosari tra le mani e croci messe in bella mostra. I vescovi erano in prima fila a guidare le folle per difendere i diritti del concepito e combattere la “cultura di morte”. Dal Vaticano di Giovanni Paolo II arrivavano benedizioni e incoraggiamenti pubblici ad andare avanti. E l’esito fu quello atteso, plebiscitario: il 67 per cento rifiutò la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza.
Ora, a decenni di distanza, la realtà nella quale si terrà tra un paio di mesi (25 maggio) il nuovo referendum per abrogare l’ottavo emendamento, è ben diversa. Di rosari e croci in giro non se ne vedono, i vescovi si limitano al compitino, a dichiarazioni di rito e poco più. I politici cattolici si tengono in disparte, i mezzi di comunicazione sono come un monolite tutti schierati per il sì, a favore della svolta che finalmente porti l’Irlanda nella modernità. Da Roma non una parola. Non è più tempo di marce e sit-in, il cattolicesimo irlandese è stato travolto da scandali e scandaletti legati alla pedofilia nel clero, a storie di cimiteri ricolmi di scheletri di bambini usciti dagli orfanotrofi delle chiese.
Mettersi a guidare movimenti d’opinione non conviene più, considerato anche l’esito degli ultimi referendum: dalla legalizzazione della contraccezione alle nozze tra omosessuali, dal divieto dei viaggi all’estero per abortire al divorzio. Non uno di questi è stato vinto dal fronte cattolico. E però i pro life esistono ancora e in qualche modo sono ingaggiati nella battaglia elettorale. Cambiano solo gli strumenti, ha scritto l’Economist. Niente più slogan tratti dalle Sacre Scritture, bisogna lasciar perdere la retorica sui valori storici dell’Irlanda cattolica. I giovani, dopotutto, anche qui a messa ci vanno sempre meno e con la fede hanno un rapporto che progressivamente s’è raffreddato e chissà che qualcosa non possa cambiare tra qualche mese, quando il Papa arriverà a Dublino per l’atteso e quantomai delicato – per la location scelta – Incontro mondiale delle famiglie, programmato ad agosto. La conferma del viaggio di Bergoglio è stata data solo la scorsa settimana, dal Pontefice in persona.
Allora si guarda oltreoceano, alla campagna che contro ogni pronostico ha portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, ma anche al movimento che ha – anche qui a dispetto dei sondaggi – fatto vincere i favorevoli all’opzione Brexit nella vicina Gran Bretagna. “Save the 8th”, gruppo antiabortista che fa campagna elettorale, ha confermato di essersi affidata a Kanto Systems, una società di consulenza londinese legata a Cambridge Analytica. A gennaio fu reso noto il coinvolgimento anche di uCampaign, un gruppo conservatore americano che aveva prodotto app per Trump, la National Rifle Association e Vote Leave in Gran Bretagna. Niente di particolare, se si considera che il fronte opposto, quello pro-choice, ha dovuto restituire una sovvenzione di 25 mila dollari alle Open Society Foundations di George Soros perché considerata una donazione politica straniera illegale. Il punto, fa notare l’Economist, è che negli ultimi giorni sono spuntate decine di account Twitter “sospetti” che parlano di aborto e tutti con una chiara impronta conservatrice rispetto all’ottavo emendamento. Alcuni di questi, ha fatto sapere la Transparent Referendum Initiative, sono legati ad account esteri che diffondono messaggi di estrema destra, antiliberali e pro Trump. Che basti questo per sovvertire l’esito di un referendum che appare segnato, si vedrà a maggio.