Il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Macron sfida i laicisti

Matteo Matzuzzi

Svolta. Il presidente francese elogia i cattolici di fronte ai vescovi. Le due debolezze che si tengono a vicenda

Macron alla conquista dei cattolici francesi”, titola l’Osservatore Romano raccontando il lungo discorso che il presidente della République ha tenuto lunedì sera al Collège des Bernardins di Parigi, invitato dalla Conferenza episcopale nazionale. Era una prima volta, mai un capo dello stato francese aveva preso la parola davanti a una platea di vescovi, parlando di trascendenza e martirio, santità e vocazione, salvezza e assoluto, speranza e conversione. Talmente “tanti concetti cattolici” – così ancora l’Osservatore Romano – che le rigide vestali della laïcité d’oltralpe, da Benoît Hamon a Jean-Luc Mélenchon, hanno subito attaccato il presidente accusandolo di aver “violato in modo pericoloso la laicità” e di essere “un simil prete”.

 

Emmanuel Macron è partito da una presa d’atto, e cioè che “il legame tra la chiesa e lo stato si è rovinato e tocca a noi aggiustarlo”, quindi – ricordando il sacrificio del colonnello Arnaud Beltrame, il poliziotto morto nell’attacco di Trébes di qualche settimana fa – ha aggiunto che “quando arriva il momento della verità, la parte del cittadino e quella del cattolico bruciano della stessa fiamma”. Un discorso impegnativo per un campione del laicismo qual è il fondatore di En Marche!, consapevole però che avere tutto il popolo dietro di sé (cattolici compresi) può essere utile anche come biglietto di presentazione in Europa.

  

I vescovi, dal canto loro, dopo la tensione latente con François Hollande, sono raggianti nel sentire l’inquilino dell’Eliseo dire che “la laicità non ha in nessun caso come missione negare lo spirituale nel nome del temporale, e ancor meno sradicare dalle nostre società la parte sacra che nutre tanti nostri concittadini”. Sono due debolezze che si reggono a vicenda, e sono ben liete di farlo. Un discorso, quello di Macron, apprezzato dal selezionato uditorio perché considerato realista, privo dell’enfasi retorica di un Sarkozy autoproclamatosi defensor Christi e custode delle radici cristiane di Francia ed Europa. Il presidente, che ha studiato dai gesuiti di Amiens e ha voluto farsi battezzare a dodici anni – elementi che non ha mancato di sottolineare davanti all’episcopato francese – ha invitato i cattolici a non rimanere “sulla soglia della porta. Non rinunciate alla Repubblica che avete con tanto vigore contribuito a forgiare”.

  

Ancora, “i nostri contemporanei, che siano credenti o meno, hanno bisogno di sentire parlare di un’altra prospettiva per l’uomo e hanno bisogno di saziare un’altra sete, che è la sete dell’assoluto”. Parole non banali in una Francia da decenni piegata e piagata dal secolarismo che ora vorrebbe anche rimuovere dal gonfalone di Tolosa la croce occitana perché considerata esibizione di simbologie religiose. Un anno fa, mentre il candidato conservatore François Fillon cercava di cavalcare il cosiddetto voto cattolico – che non esiste neanche al di là delle Alpi, come s’è visto – l’abbé Pierre-Hervé Grosjean, 40 anni, definito “il sacerdote più conosciuto di Francia”, in un’intervista al Foglio provava a delineare una via d’uscita dal ghetto. Ciò che serve, diceva, è “cattolicesimo senza complessi”, perché “una minoranza che non comunica è condannata a morire. Quando si è una minoranza, si è tentati di diluirsi o di richiudersi in se stessi. In un caso come nell’altro significa rinunciare a essere presenti. Si tratta di abbandono, diserzione. Una parola impossibile per i cristiani”. Chissà che dopo l’entente cordiale dei Bernardins il programma di rilancio non abbia qualche possibilità in più di successo.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.