La diplomazia di Papa Francesco in Siria
Il Pontefice parla con Kirill per evitare l’escalation mentre i vescovi fanno muro a difesa di Assad
Roma. “Missili sulla Siria”, titolava l’Osservatore Romano nell’edizione di domenica, denunciando la “rappresaglia” ordinata da Donald Trump “a una settimana dal presunto attacco chimico alla città siriana di Duma”. Una rappresaglia autorizzata “in stretto coordinamento con Londra e Parigi”. Il giudizio della Santa Sede sui limitati bombardamenti che hanno colpito la Siria nella notte tra venerdì e sabato scorsi è netto: si tratta di un errore assai grave. Non a caso la diplomazia vaticana ha continuato a lavorare attraverso i suoi canali per evitare l’escalation bellica. La scorsa settimana era stato il nunzio a Damasco, il cardinale Mario Zenari, ad agire per primo, definendo “deplorevole” la divisione emersa ancora una volta all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Zenari aveva parlato di “supposto utilizzo di armi chimiche a Duma”, segno che per la Santa Sede i dubbi su quanto avvenuto nel sobborgo della Ghouta ci sono e non sono neppure pochi, nonostante una settimana fa Francesco avesse ricordato le “tante persone colpite dagli effetti di sostanze chimiche contenute nelle bombe”. Non c’è, aveva aggiunto il Pontefice, “una guerra buona e una cattiva e niente può giustificare l’uso di tali strumenti di sterminio contro persone e popolazioni inermi”.
Sabato il protagonista dell’azione diplomatica è stato il Papa in persona, che si è confrontato al telefono con il patriarca di Mosca, Kirill: “I cristiani – ha detto quest’ultimo – non possono restare indifferenti a ciò che sta accadendo in Siria. Lì è sorto il cristianesimo e non possiamo stare in silenzio”. Il patriarca di tutte le Russie ha avviato una consultazione anche con gli altri patriarchi ortodossi del vicino e medio oriente, tra cui Bartolomeo I di Costantinopoli.
“C’è il desiderio di continuare le consultazioni per cercare di influenzare la situazione”, ha aggiunto Kirill. E di Siria il Papa ha parlato anche domenica al termine del Regina Coeli: “Sono profondamente turbato dall’attuale situazione mondiale in cui, nonostante gli strumenti a disposizione della comunità internazionale, si fatica a concordare un’azione comune in favore della pace”. Francesco si appella “nuovamente a tutti i responsabili politici, perché prevalgano la giustizia e la pace”.
In prima linea, sul terreno, ci sono i vescovi. Sabato scorso, mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo e presidente della Caritas siriana, aveva ridotto tutto alla “volontà di potere dell’occidente”, sostenendo l’innocenza di Assad – “è assurdo che Damasco usi armi letali proprio mentre il suo esercito ha riconquistato la regione di Ghouta”, ha detto alla Radio Vaticana e denunciando il tentativo occidentale di fare della Siria un nuovo Iraq. Mons. Audo ribadisce una differenza di accenti rispetto alla posizione più prudente di Roma sulla vicenda siriana. Se è vero che la Santa Sede da sempre chiede di rispettare lo status quo nel paese, i presuli siriani si sono schierati fin dal principio della guerra civile con Assad, temendo che una volta deposto lui, per i cristiani non vi sarebbe altra possibilità che l’esodo. Il terrore, insomma, di veder ripetersi il “modello iracheno” sperimentato dal 2003 in poi. “Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l’ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto”, ha detto all’agenzia Sir il vicario apostolico di Aleppo dei latini, mons. Georges Abou Khazen.
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