Campane stonate
Hanno scandito il tempo per secoli, accompagnando feste e lutti. Oggi sempre più comunità le mettono al bando perché disturbano. E’ un altro segno della resa al laicismo che regna in occidente
“Ciascuno di noi porta in sé una campana, questa campana si chiama cuore e questo cuore suona e, spero suoni sempre belle melodie” (Giovanni Paolo II)
Che hanno le campane, che squillano vicine, che ronzano lontane?”, si chiedeva Giovanni Pascoli in Alba festiva (Myricae). “E’ un inno senza fine, or d’oro, ora d’argento, nell’ombre mattutine”. La campana, per secoli richiamo all’uomo affinché si dedicasse ai propri doveri, spirituali e temporali. La campana che all’albeggiare scandiva l’inizio della giornata, la processione lenta verso i campi e poi le fabbriche. La campana che alla sera segnava la fine del giorno e l’avvento dell’oscurità. Un simbolo, un elemento parte della quotidianità. Ogni borgo, anche il più piccolo e isolato, in pianura o in alta montagna, ha il suo campanile con le sue campane. Magari stonate, incapaci di dar vita a quei sublimi concerti che solo certe cattedrali sparse qua e là per l’Europa sanno garantire, con il loro solenne e gioioso plenum che riempie certe mattinate festive. Campane azionate da un motore elettrico o ancora tirate a corda, campane a slancio o strutturate all’ambrosiana, col loro particoalre “bicchiere rovesciato”. Ogni paesino, città e nazione ha le proprie tradizioni, il proprio modo di mostrare quel simbolo. Ma ovunque il significato è sempre stato il medesimo: segno distintivo di una comunità. Si pensi all’Angelus di Jean-François Millet, ammirabile oggi al Musée d’Orsay: due contadini interrompono il lavoro nei campi. Mani giunte e capo chino mentre in lontananza si scorge un campanile, dove una campana suona appunto l’Angelus. Si possono parlare le lingue più disparate, trovarsi nei luoghi più improbabili. Ma il significato del “cantico sonoro”, della “voce argentina” descritta da Pascoli, è lo stesso. Ovunque. E anche laddove non c’è, dove il suo suono non viene descritto, pare ugualmente di sentirla. Si prenda il capitolo XVII dei Promessi sposi, quello della redenzione di Renzo dopo la nottataccia in osteria. Solo nella “sodaglia” ai margini dell’Adda, nella capanna, disteso sul pagliericcio. “Prima di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l’assistenza che aveva avuta da essa, in quella giornata”. Ed è qui, mentre si appresta a pregare, chiedendo perdono per non averlo fatto la sera prima, quando andò a dormire “come un cane e peggio”, che sembra quasi di sentire il rintocco dell’Angelus.
“L’Angelus” di Millet, con il campanile in lontananza che accompagna l’intensa preghiera dei contadini nei campi
Non v’è da stupirsi se oggi, in tempi mai così propizi per il folle annientamento di sé che la società occidentale è decisa a praticare, quel simbolo disturba. Fastidioso al punto che non si contano ormai più le petizioni e le denunce di chi vuol far tacere le campane. Troppo rumorose, disturbano il sonno e la quiete, sono le motivazioni più spesso addotte. Il che, ça va sans dire, pare un paradosso. Nell’epoca del rumore, in cui il silenzio vero non si trova quasi più neppure in alta quota, rotto da qualunque tipo di frastuono sia immaginabile, sul banco degli imputati ci finiscono le campane. E’ sufficiente, per farsene un’idea, visitare il sito dell’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (Uaar), che più che una mera questione di decibel ne fa una lotta di principio: “Il martellante suono delle campane… retaggio di un’epoca in cui il cattolicesimo era l’unico orizzonte culturale e il rintocco delle campane segnava la vita quotidiana della comunità, oggi – che neanche un quinto della popolazione si reca settimanalmente a messa – questo suono si dovrebbe rivolgere, esclusivamente, a una pur significativa minoranza della popolazione”.
Non si parla qui dello scampanio continuo pure notturno, che consultando le cronache sopravvive da qualche parte ma risulta essere un caso più unico che raro. Essere svegliati dal suono delle campane nel cuore della notte potrebbe essere molesto, ma non è dato sapere dove ciò avvenga.
La follia di equiparare le campane alla chiamata del muezzin. O agli avvisi della “Società pagana norvegese”
A ogni modo, di solito a essere multati sono i parroci. Come don Luca Rosati di Galciana (Prato). L’agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (Arpat), sul finire del 2016 certificò che le “sue” campane sforavano i limiti acustici previsti dalla legge. Così, al parroco furono comminati 1.032 euro di multa, con prescrizione di silenziare le campane tra le 22 e le 6 (il che pare essere cosa ragionevole). A rivolgersi all’Arpat, scriveva il quotidiano La Nazione, era stata una giovane coppia “infastidita dai rintocchi” che abitava in un condominio distante mezzo chilometro dalla chiesa. Peggio è andata a Majano, ridente borgo friulano devastato dal terremoto del 1976. Solo pochi anni fa era stato inaugurato il nuovo campanile – l’altro era stato sbriciolato dalla forza del sisma – e per l’occasione erano state fuse le tre nuove campane. “Voce d’oro” le avrebbe battezzate Pascoli, se le avesse potute udire: tre stupende Grassmayr dal suono perfetto (per capirlo, più di descrizioni scritte è bene sentirle e vederle su YouTube). Ma anche qui, a neppure cinque anni dal primo squillo, ecco la denuncia. Troppo rumorose, troppo “disturbanti”. Quattro cittadini presentarono un esposto all’Arpa regionale, lamentando che le tre suonate giornaliere di trenta secondi ciascuna risulterebbero moleste. L’Arpa intervenne, provvide alle misurazioni del caso e constatò che effettivamente le tre suonate giornaliere da trenta secondi ciascuna sforavano il tetto dei 60 decibel previsti. Risultato: multa al parroco da duemila euro cui andavano aggiunti altri 1.800 per le spese sostenute. “Non posso credere che per il suono delle campane, i cui rintocchi riecheggiano per mezzo minuto tre volte al giorno, quattro cittadini siano passati per vie legali senza prima venire a parlarne con me”, diceva ai giornali locali il parroco, don Emmanuel Runditse, che dal Burundi si trasferì in Friuli più di vent’anni fa. Dal pulpito della messa domenicale si scagliò contro i quattro infastiditi dal triplice rintocco: “Far tacere le campane è un affronto ai nostri credenti, uno schiaffo ai nostri avi che le hanno volute. E’ un attacco al culto cristiano e alle nostre tradizioni. Significa zittire la voce di Dio”. Il risultato, multa a parte, è che le nuove campane sono state silenziate. Il loro suono, anche quando è a festa, è lugubre, ovattato. Tanto tenue da non irritare gli irritabili cittadini che di udire tre volte al giorno trenta secondi di rintocchi proprio non potevano tollerarlo. Casi analoghi si ricordano un po’ lungo tutta la penisola, da nord a sud, isole comprese. Una decina d’anni fa, a Ostia, un solo cittadino costrinse gli agostiniani la basilica di Sant’Aurea a zittire e campane, con annessa ribellione di tutti gli altri residenti, che minacciarono raccolte di firme contro il “silenziatore”.
Pare di sentirle anche quando non ci sono, come nella “notte della redenzione” di Renzo sull’Adda, nei “Promessi sposi”
Guerricciole alla Don Camillo e Peppone, solo che qui di fiction ce n’è ben poca. Non che all’estero vada meglio. Casi simili si registrano un a ogni latitudine, con il culmine toccato forse in Norvegia, dove i membri della “Società Pagana Norvegese” hanno preteso di poter lanciare dagli altoparlanti i propri annunci come fanno pastori e muezzin. Osserva lo Uaar: “Stanchi di continuare a sentire il suono delle campane, a cui si era aggiunto anche il richiamo del muezzin, i soci della Società Pagana Norvegese hanno chiesto il permesso di poter fare altrettanto. Ottenutolo in nome della pari dignità delle concezioni del mondo, i suoi esponenti hanno collocato degli altoparlanti sui tetti dai quali hanno pubblicizzato le riunioni della Società, oltre a lanciare messaggi sull’inesistenza di Dio. La notizia è stata rilanciata da diversi media in tutto il mondo: al punto che, avendo pienamente raggiunto lo scopo (esprimere un punto di vista laico sul disturbo della quiete operato dalle organizzazioni religiose), gli annunci sono stati interrotti”.
In Friuli, quattro cittadini fanno silenziare le campane appena montate. Troppo rumoroso il minuto e mezzo al giorno di suonata
Il fraintendimento è grave. Le campane delle città e dei borghi in occidente non sono mai state solo un simbolo religioso. Certo, la loro prima funzione era quella di segnalare che oltre alle cose di quaggiù – per dirla con il cardinale Giacomo Biffi – bisognava badare e preoccuparsi soprattutto delle cose di lassù, ma erano un riferimento indispensabile per tutta una comunità, fatta di credenti e atei. L’allarme per un incendio, la scansione delle ore, da qualche parte anche una sorta di bollettino meteorologico: un trillo per segnalare il sereno, due per le nubi in arrivo, tre per la pioggia, quattro per la neve. Ancora i Promessi sposi, quando don Abbondio fa suonare a martello le campane per avvertire la popolazione che qualcuno era entrato in casa (Renzo e Lucia per sposarsi). Oriana Fallaci scelse di morire a Firenze, come disse il suo amico mons. Rino Fisichella, “per poter ascoltare ancora le campane del Campanile di Giotto”, accanto a Santa Maria del Fiore. Oggi non è forse “l’umanesimo moderno” contro cui puntava il dito nel suo Il declino della chiesa il cardinale francese Emmanuel Suhard a volere silenziare le campane, ma non si è troppo distanti dalle correnti di pensiero di quanti sognano una società neutra, un laicismo esasperato che cancelli ogni sorta d’appartenenza e d’identità, nell’illusione che solo così possa trionfare il bene comune. Bloccare i batacchi delle campane, togliere la croce dal gonfalone comunale di Tolosa, rimuovere statuette della Vergine Maria dai parchi pubblici, proibire i presepi, diluire il significato di rappresentazioni natalizie in messaggi pseudoirenisti che altro non sono che ipocrisie mal mascherate. Far cantare ai bambini delle scuole canzoni su Gesù che però diventa “Perù” perché qualcuno potrebbe offendersi. Tanti esempi diversi di un unico, immenso problema. Che assume contorni pericolosi quando accade come a Växjö, in Svezia, dove le autorità comunali locali hanno concesso al muezzin del luogo il permesso di chiamare i musulmani alla preghiera. Permesso negato per due decenni alla comunità cattolica, che aveva chiesto solo di poter suonare una campana la domenica. “Un conto è la libertà religiosa e avere la possibilità di pregare, un altro è disturbare tutto il circondario”, ha detto il parroco, Ingvar Fogelqvist, in un’intervista concessa a Leone Grotti per Tempi. Un mondo davvero diverso, lontano migliaia di anni luce da quello cantato, poco più d’un secolo fa, da Giovanni Pascoli: “Da’ borghi sparsi le campane in tanto si rincorron coi lor gridi argentini: chiamano al rezzo, alla quiete, al santo desco fiorito d’occhi di bambini”.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione