Cipolla vaticana
Caos e proteste. Anche i tipografi s’indignano per la “riforma a strati” dei media della Santa Sede
Roma. Di tutte le riforme annunciate e prospettate nel presente pontificato, dalla devoluzione progressiva di poteri alle conferenze episcopali locali alle mere questioni di “cassa” (economia, Ior, immobili), quella che sembrava meglio avviata era l’imponente restyling al settore media. La “riforma a cipolla”, come la battezzò mons. Dario Edoardo Viganò. Osservatore Romano, Radio Vaticana, Ctv, Libreria editrice vaticana, Servizio fotografico, Tipografia, il portale news.va, la Sala Stampa, il pontificio consiglio per le Comunicazioni sociali: tutti finiti sotto la Segreteria per le comunicazioni affidata a mons. Viganò. I propositi erano solenni: nuove tecnologie, basta con la trasmissione a onde corte, internet per tutti anche nelle savane africane e nelle foreste pluviali orientali grazie ad accordi con Facebook – scordandosi magari di verificare la copertura di rete sul posto – il Papa mostrato in 3D urbi et orbi. Razionalizzazione, nuovi loghi, semplificazione.
Una riforma, disse Viganò, ispirata “al management della Walt Disney declinato ovviamente con principio apostolico”. Un cambiamento appunto “a cipolla, perché fatta a strati” ma anche “perché ogni riforma come la cipolla, fa sempre piangere qualcuno”. Almeno su questo fronte tutto sembrava andare per il meglio, perfino il C9 che si riunisce da cinque anni per preparare la riforma della curia aveva dato il proprio benestare al piano. Poi, il 19 marzo, l’imprevisto: Viganò, protagonista della vicenda relativa alla censura della lettera con la quale Benedetto XVI rispediva al mittente la richiesta di recensire libercoli tra i cui autori s’annoverava anche un professore che – scrisse Ratzinger – “attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale”, si dimetteva.
Travolto dalle polemiche per aver celato la stroncatura del Papa emerito alla collana di volumetti sulla teologia del successore Francesco, al termine di alcuni colloqui privati con il Pontefice regnante il prefetto preferiva lasciare l’incarico. Bergoglio accettava seduta stante le dimissioni, seppure “a fatica”. E però Viganò non uscì di scena, visto che il Papa subito lo nominò assessore del dicastero. Incarico creato ex novo: da nessuna parte, nel motu proprio che ufficializzò lo Statuto, tale incarico è menzionato.
A gestire il moloch, il segretario Lucio Ruiz. In attesa che qualcuno venga nominato prefetto. Due mesi fa la scelta pareva imminente, si diceva addirittura che fosse addirittura questione di giorni. Invece silenzio assoluto, se non l’ingrossamento di quel chiacchiericcio tanto deprecato da Francesco. Un vuoto che ha reso palese la fragilità della riforma. Luis Badilla, per lungo tempo in forza alla Radio Vaticana e ora direttore del sito Il Sismografo, ben seguito in curia, lo scorso 21 maggio scriveva che la “situazione è sempre più confusa in un settore che va riportato sotto il controllo il prima possibile di responsabili adeguati, rispettati e che soprattutto siano dei veri professionisti”. E il vuoto di potere ha anche portato a galla tutti i malumori che “la riforma a cipolla” ha provocato in Vaticano.
“Non ci hanno dedicato nemmeno un Requiem di ringraziamento. Nemmeno un’amichevole pacca sulle spalle per tutto quello che i salesiani hanno fatto per la tipografia papale”, hanno lamentato sulle colonne della Gazzetta di Mantova i salesiani sfrattati dalla Tipografia vaticana, anch’essa toccata dalla rivoluzione dei media d’oltretevere. Uno sconcerto condiviso da don Giuseppe Costa, direttore della Lev sostituito un anno fa: “Un provvedimento incomprensibile e, va detto con tutto il rispetto dovuto, piuttosto ingiusta per tutto quello che i salesiani hanno fatto per la tipografia”. La chiosa non è meno aspra: “Non mi pare che chi ha preso il posto dei salesiani sia dotato di una lunga esperienza grafica e tipografica, indispensabile per portare avanti una realtà delicata e complessa come la tipografia papale. Ma ora non resta altro che obbedire e sperare di essere smentiti in un prossimo futuro”.