L'Australia condanna i preti alla scomunica: “Il segreto confessionale va violato”
I vescovi non ci stanno: “Pronti a boicottare la legge”
Roma. L’amministratore apostolico di Adelaide, Australia, mons. Gregory O’Kelly, nominato dal Papa il 3 giugno scorso dopo la condanna in tribunale per “insabbiamento” del vescovo titolare Philip Wilson, è pronto allo scontro con le autorità del South Australia. Lo stato federato ha infatti varato una legge che intima ai sacerdoti di violare il segreto confessionale ogni qualvolta un individuo parlerà di abusi sessuali su minori. La legge entrerà in vigore a ottobre e i sacerdoti che non si conformeranno potranno essere sanzionati con multe fino a diecimila dollari australiani. La violazione del segreto confessionale era una – la più contestata – delle raccomandazioni proposte dalla speciale Royal Commission incaricata di far luce sui casi di violenza (veri o presunti) su minori avvenuti nel paese nel corso degli ultimi decenni. Tra gli altri “suggerimenti” proposti dall’organismo vi era anche la richiesta di rivedere le regole del celibato. Se l’attorney general, Christian Portier, invita “tutti gli stati e territori ad adottare al più presto provvedimenti legislativi” dello stesso tenore di quelli dell’Australia meridionale, mons. O’Kelly ha già fatto sapere che “i politici possono cambiare la legge, ma noi non possiamo cambiare la natura del confessionale, che è un sacro incontro tra un penitente e qualcuno che cerca perdono e un prete che rappresenta Cristo”.
Il South Australia non è un caso isolato, visto che anche la città di Canberra seguirà l’esempio: dal prossimo marzo, la segretezza del confessionale sarà abolito anche nella capitale. Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Mark Coleridge, ha parlato di un cambiamento “ingiustificato, guidato dal desiderio di punire la chiesa cattolica senza aver considerato le conseguenze della decisione”.
Lo scorso aprile era intervenuto anche l’arcivescovo di Sydney, mons. Anthony Fisher, che durante l’omelia della messa di Pasqua aveva detto che “i sacerdoti saranno disposti a subire delle punizioni e perfino il martirio pur di non violare il segreto confessionale, perché la confessione è un incontro privilegiato tra il penitente e Dio; qui il cristiano entra nel silenzio e nella segretezza della Tomba per ricevere la Pasqua, e nessuna autorità terrena può entrare in questo”. La violazione del segreto confessionale disposta dalle legislazioni statali contrasta con le norme del Codice di diritto canonico, laddove si afferma (can. 983) che “il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa”.
Inoltre, “all’obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l’interprete, se c’è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta notizia dei peccati dalla confessione”. Se un sacerdote si conformerà alla legge australiana incorrerà – prevede il canone 1388 – “nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica”. Proprio a febbraio, e sempre in Australia, un sacerdote di origine nigeriana che aveva violato il segreto confessionale si era visto confermare dalla Santa Sede la scomunica che solo il Papa può revocare. Al di là del dilemma non da poco in cui potrebbe venirsi a trovare il confessore, il rischio è quanti hanno commesso abusi su minori non entrino più in confessionale e a quel punto, come ha detto il vescovo di Canberra, mons. Christopher Prowse, “anche la possibilità remota di consigliare al responsabile di costituirsi viene meno”.
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