Le radici orientali del cristianesimo
Nonostante la persecuzione, il cristianesimo siriaco ha ancora molto da dire all’Europa distratta
Roma. Due convegni internazionali uno dietro l’altro, prima a Milano (5 e 6 novembre) e poi a Parigi (domani) per indagare l’apporto del cristianesimo siriaco alla storia dell’umanità. Tema che si direbbe “di nicchia” se non fosse fondamentale anche per comprendere di più sulle radici cristiane dell’Europa. “A prescindere ora dalla discussione sul significato del termine ‘radici’, è senz’altro corretto affermare che il cristianesimo asiatico è legato a noi in più sensi”, dicono al Foglio Emiliano Fiori e Vittorio Berti, docenti rispettivamente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e all’Università di Padova. “Per esempio, un grande scrittore monastico come Isacco di Ninive (VII secolo), un autentico gioiello spirituale delle chiese siriache, è stato tradotto ben presto in pressoché tutte le lingue dell’occidente e dell’oriente cristiano, arrivando a lasciare tracce molto profonde in Dostoevskij (gli scritti di Isacco compaiono anche in un momento cruciale dei Fratelli Karamazov).
Ma soprattutto il cristianesimo siriaco ci offre un vero e proprio ‘specchio lontano’, quasi una storia parallela del cristianesimo svoltasi in Asia invece che in Europa: quello siriaco, infatti, è stato il primo cristianesimo a incontrare l’islam e a interagire produttivamente con esso. Nel primo millennio, nessun cristianesimo come quello siriaco offre alla nostra coscienza storica l’immagine di cosa il patrimonio culturale greco-latino-cristiano, che è anche al fondo della cultura europea, possa diventare a contatto con l’islam e con culture ancor più radicalmente altre come quella cinese. Si tratta di un’immagine che dobbiamo studiare accuratamente”. Negli ultimi anni, spiegano i due docenti, “si è fatta sempre più sentita l’esigenza di ridefinire lo studio della filosofia e della scienza presso i cristiani siriaci. La coincidenza dei due incontri a pochi giorni di distanza ne è un segnale. Le due iniziative hanno in comune la volontà di leggere lo sviluppo della filosofia e della scienza nel cristianesimo siriaco non solo come saperi tecnici, ma come elementi di un discorso culturale più ampio. La scienza e la filosofia venivano coltivate come elementi integrati nella vita religiosa cristiana: è su questo spazio intellettuale che si è poi affacciato l’islam nascente. Oggi riportare questo alla coscienza europea è tanto più urgente a causa della crisi in cui il jihadismo e la risposta militare occidentale hanno gettato quel che restava delle antiche comunità cristiane nei paesi islamici. Comprendere il contributo di questi cristiani alla fondazione della cultura medievale è un atto culturale e politico di riconoscimento della ricchezza di un contesto pluralista oggi sempre più messo in discussione nel Vicino oriente”.
La minaccia jihadista
Temi evidentemente rilevanti ma poco conosciuti. anche se a gettare un po’ di luce ha contribuito, suo malgrado, lo stato dei cristiani in quelle terre, perseguitati dal jihadismo. Perché il filone del cristianesimo siriaco è così poco indagato? “Una ragione, apparentemente accademica ma in realtà più latamente ‘politica’, risiede in un atteggiamento assai diffuso tra gli specialisti di storia della filosofia: si tratta di una vulgata per la quale l’occidente deve, in fondo, alla sola mediazione arabo-islamica il recupero della propria radice greca. A questa tesi ha contribuito soprattutto uno studio fondamentale di Dimitri Gutas (Pensiero greco e cultura araba, Einaudi 1998). Il libro di Gutas – rispondono Fiori e Berti – ridimensionava fin quasi a espungerlo il ruolo dei cristiani siriaci nella trasmissione della cultura filosofica e scientifica greca all’islam, quando invece questo ruolo è stato decisivo. Il ridimensionamento si basava soprattutto sul fatto che i siriaci non avrebbero fatto ‘filosofia’ nel senso più tecnico, ossia non avrebbero prodotto novità di rilievo nello stile della tradizione aristotelica. Senza contare che questo è già di per sé falso, occorre ribadire che il cristianesimo siriaco, più che ‘fare’ filosofia, ha rifuso la filosofia dentro un discorso più ampio, facendone un linguaggio per formulare i suoi specifici problemi religiosi”. Fare paragoni tra la chiesa irachena dei primi secoli e quella attuale è forse improprio, però qualche linea di continuità pare esserci: “In entrambi i casi si tratta di stagioni di profonda svolta, che aprono una sfida decisiva per i cristiani: in epoca abbaside per mantenere alcuni spazi nella vita pubblica, un ruolo sociale non marginale e una rilevanza culturale; oggi per la sopravvivenza fisica delle comunità, per il mantenimento di quanto rimane di quel patrimonio culturale, seriamente messo in discussione, che allora e anche in seguito erano riusciti a salvare”. In entrambi i casi, però, “bisogna dire che si è aggiunta e si aggiunge una difficoltà importante: il rapporto paradossale con l’occidente, che da un lato si fregia di difendere queste comunità, ma spesso nel concreto opera scelte che le mettono in pericolo. D’altronde è anche questo un problema secolare: da sempre la diffidenza dei musulmani è soprattutto suscitata dal sospetto che i cristiani siano gli alleati del nemico, cristiano o adesso più latamente occidentale. La differenza più netta tra oggi e ieri è che mai così radicalmente si era messa in discussione l’esistenza stessa dei cristiani in terra islamica: in epoca abbaside si trattava solo di limitarne le prerogative, ma veniva loro assicurata anche ampia protezione oggi, antistoricamente, il radicalismo islamico li vorrebbe eliminare per creare un’assoluta omogeneità religiosa”.