Il Vaticano invoca “l'unione tra fede e ragione” per ridurre i gas serra
Dopo il fallimento della Cop24, la Santa Sede accusa e rilancia sui cambiamenti climatici
Roma. Quando nel 2015 fu presentata al mondo l’enciclica Laudato si’, il padre gesuita James Schall – già titolare della cattedra di Filosofia politica alla Georgetown University di Washington – era insorto: “Se il riscaldamento della terra sia un fatto o se l’abbandono del carbone sia un vantaggio o uno svantaggio per il mondo sono questioni di giudizio e oggetto di accurata analisi delle prove. Ma la chiesa non può mettersi sulla scia di queste considerazioni. Deve astenersi dal dare il proprio sostegno a qualunque ideologia”, diceva in un’intervista al Foglio. La chiesa, proseguiva, “rischia di essere ridicolizzata confondendo la scienza, che è sempre riformabile quanto ai propri princìpi, con i fatti”.
Passati tre anni e mezzo da allora, la critica più pesante ai risultati della Cop24, la conferenza sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Katowice dal 2 al 15 dicembre, è arrivata dal Vaticano. Inevitabile, dopo gli auspici espressi dal Papa lo scorso luglio, quando ricevette nella Sala Clementina i partecipanti alla Conferenza internazionale in occasione del terzo anniversario della Laudato si’: “Il vertice Cop24 sul clima – disse allora Bergoglio – può essere una pietra miliare nel cammino tracciato dall’Accordo di Parigi del 2015. Tutti sappiamo che molto deve essere fatto per l’attuazione di quell’Accordo. Tutti i governi dovrebbero sforzarsi di onorare gli impegni assunti a Parigi per evitare le peggiori conseguenze della crisi climatica. La riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità, soprattutto da parte dei paesi più potenti e più inquinanti. Non possiamo permetterci di perdere tempo in questo processo”.
Quel che è certo, oggi, è che a Katowice non è stata posta alcuna pietra miliare e di tempo se ne è perso in abbondanza. La dichiarazione finale firmata dalla delegazione della Santa Sede presente in Polonia ai più alti livelli (c’era il cardinale segretario di stato Pietro Parolin, a giudizio del quale “i cambiamenti climatici sono anche una questione morale e non solo tecnica”) è un j’accuse rivolto al mondo distratto. Dopo una premessa non tenera nei confronti di “leader mondiali” che “hanno stentato a trovare la volontà di mettere da parte i propri interessi economici e politici a breve termine e lavorare per il bene comune”, si osserva che “il regolamento non rispecchia in maniera adeguata l’urgenza con cui occorre affrontare i cambiamenti climatici, che costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità”.
Inoltre, prosegue la dichiarazione, “il regolamento sembra sminuire i diritti umani, fondamentali nel riflettere il volto umano dei cambiamenti climatici, che colpiscono le persone più vulnerabili della terra. Il loro grido e quello della terra esigono più ambizione e maggiore urgenza”. La Santa Sede entra poi nei dettagli e invita a “limitare in maniera responsabile l’aumento medio globale a 1,5 gradi centigradi sopra i livelli preindustriali”. Di seguito – affermano i membri della delegazione – “incoraggiamo un’ambizione molto più grande nel fornire contributi determinanti nazionalmente e meccanismi più forti per ridurre le emissioni di gas serra, gestire la decarbonizzazione dell’attuale economia basata sui combustibili fossili, far conoscere in modo trasparente come ogni nazione attua i propri impegni, affrontare la questione della perdita e del danno, assicurare solidi impegni finanziari e promuovere l’educazione alla sostenibilità, la consapevolezza responsabile e i cambiamenti nello stile di vita”. È indispensabile, quindi, un’unione tra “fede e ragione per consentirci di compiere scelte positive nei nostri stili di vita, nel modo di gestire le nostre economie e nel costruire una solidarietà globale autentica, necessaria per evitare questa crisi climatica”.
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